Stone Temple Pilots, la recensione di 'Perdida' | Rolling Stone Italia
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Gli Stone Temple Pilots tolgono la spina e un po’ di vita alla loro musica

Flauti, chitarre acustiche e sfortunatamente testi banali e un cantante senza grande personalità: la band che fu di Scott Weiland è in crisi d'identità?

Stone Temple Pilots

Foto: PR Brown

Una cosa del genere era inimmaginabile negli anni ’90, quando la band cavalcava l’onda grunge con grandi riff e il vocione di Scott Weiland. E invece è vero: gli Stone Temple Pilots sono entrati nella fase Jethro Tull. C’è anche il flauto. E ci sono chitarre acustiche e archi. Mancano testi interessanti e un po’ di sana eccitazione.

Perdida, ovvero ‘perdita’ in lingua spagnola, è un titolo tristemente ironico per un disco in cui il gruppo suona pezzi acustici diciamo così col cuore in mano. Il nuovo cantante Jeff Gutt, già concorrente di X Factor, la voce ce l’ha e la usa per cantare in modo fin troppo simile a Weiland, specialmente il “can this be loo-oo-oove” del singolo Fare Thee Well, un soft rock sulla fine di una relazione. Ed è proprio quando comincia a imitare Weiland che rovina una canzone altrimenti interessante. Quando Chester Bennington dei Linkin Park prese il posto di Weiland negli Stone Temple Pilots continuò a cantare come Chester Bennington. Sfortunatamente Gutt non ha un’identità altrettanto forte e il suo curriculum non va oltre l’album omonimo pubblicato con la band nel 2018.

La mancanza di personalità di Gutt è uno dei grandi limiti di Perdida. Sopra gli intrecci di chitarre acustiche in stile Led Zeppelin ideati dai compagni lui canta banali canzoni d’amore o stranezze talmente esagerate da far ridere. Nella ballata You Found Yourself While Losing Your Heart, che già dal titolo è un cliché, canta che “non abbiamo bisogno di amare per quel che sappiamo, possiamo far finta che tutti siano fatti di pietra”. Come hai detto, scusa? Il passaggio è stretto a sandwich tra il piattume di “perdonami se sembro fuori luogo” e quello di “ecco un altro bacio prima che te ne vada”.

La scelta di suonare in acustico, pur con un ampio spettro di strumenti che comprende tastiere, Marxophone e flauto, non ha pagato e gli Stone Temple Pilots se ne sono usciti con un disco banale. La title track sembra presa da un musical di Andrew Lloyd Webber e non ha nulla a che spartire con vecchi dischi come Core e Purple. È vero che per un gruppo come questo crescere e cambiare è difficile, soprattutto dopo la perdita non di uno, ma di due frontmen formidabili. Magari Perdida è l’inizio di una nuova stagione, ma per ora gli Stone Temple Pilots non valgono la metà di quel che erano un tempo.

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