Spregiudicati Bring Me The Horizon. Prima sparano un singolo anthemico schiacciasassi come Mantra e una furbissima Wonderful Life registrata insieme a un peso massimo del metal estremo come Dani dei Cradle of Filth, così che tutti i fan abbocchino all’amo.
E poi sganciano un album che fa praticamente tabula rasa del passato dando qualcosa di più di una strizzata d’occhio all’elettronica ballerina e al pop senza aggettivi né davanti né dietro: dolci melodie e addio growl, tanto computer e pochi chitarroni, un bel po’ di clubbing e zero moshpit.
Per una Sugar, Honey, Ice & Tea in cui torna a fare capolino la riff-o-rama più goduriosa, ci sono due, tre canzoni con aperture che definire piacevolmente radiofoniche è poco: Medicine, Mother Tongue, In the Dark (ma il tono dei testi è “Jesus Christ you’re so damn cold, don’t you know you’ve lost control, I’m not looking for salvation. just a little faith in anyone or anything”).
Il tormentato Oli Sykes, leader dei Bring Me The Horizon, si è spinto in morbidi territori mai toccati neanche dai Linkin Park, sicuramente consapevole di deludere un bel po’ di fan (e non solo della prima ora), ma convinto di avere le carte in regola per conquistare un pubblico ben più ampio.
E se un pezzo dall’ironico titolo Heavy Metal, registrato con il beatmaker Rahzel, sembra proprio raccontare la storia di chi vuole lasciarsi alle spalle le etichette e spazzare via tutti i pregiudizi musicali (sì, nel finale ci sono comunque le urla a squarciagola), i Bring Me The Horizon dimostrano di aver imboccato la strada giusta proprio quando sperimentano con sonorità lontane dal metal-core e dai più prevedibili crossover: per esempio il featuring con Grimes, Nihilist Blues, che è una sorpresona EDM, e il ritmo pulsante di Fresh Bruises, giochino dal quale potrebbero nascere grandi cose nel prossimo futuro. Nuovi orizzonti, nuova vita.