Sulle prime, il nuovo Scorpion di Drake sembra presentare un difetto comunissimo fra i dischi hip hop di oggi: è troppo lungo. 25 brani, divisi in due parti come un doppio album di Natale, e uno finisce magari per desistere dall’ascoltarlo tutto se proprio non è un fan irriducibile.
La spiegazione è sempre la stessa. Nell’era dello streaming l’algoritmo favorisce chi butta più ciccia sul fuoco. Più brani ha il tuo disco e più salirà il disco in classifica ascolti. C’è chi in questo gioco la fa sporca tipo i Migos e Drake, e chi invece è più furbo degli altri tipo Kanye che produce album da 7 brani ma ne fa uscire uno a settimana.
Essendo però Scorpion un disco molto personale, uno è lecito che a differenza dei Migos si prenda un po’ di tempo per raccontarsi e magari aprirsi su cose che fino a oggi erano tabù. E proprio in Emotionless, traccia di risposta al dissing di Pusha T, conferma di avere un figlio, che fino a ora aveva tenuto nascostissima al mondo per colpa del mondo stesso (“I wasn‘t hiding my kid from the world / I was hiding the world from my kid”).
La doppia divisione dei brani forse si spiega in una prima parte più rappata—Mob Ties solita prova di virtuosismo superata a pieni voti, Sandra’s Rose commoventemente old school grazie a DJ Premier e Talk Up figlia del suo secolo con un Jay Z incontenibile—e una seconda più emotional e cantata, culminante con una Don’t Matter to Me che arriva persino a scomodare la buonanima di Michael Jackson. Se tralasciamo queste boutade barocche Scorpion torna anche utile come colonna sonora di viaggi che richiedono almeno un’ora e mezza ma non soddisfa neanche lontanamente chi come rimpiange un po’ il Drake di Nothing Was The Same.