Saranno pure una band di ragazzini di Brooklyn freschi di liceo, ma nel loro eccellente disco di debutto i Geese maneggiano l’indie rock in modo prodigioso. In Projector c’è un talento che lascia ammutoliti. Dentro ci sono le chitarre zen di Television, Feelies e Parquet Courts; frammenti artsy in stile DNA, Deerhoof e Black Midi; persino una spruzzata di prog di maestri come Yes e Radiohead.
Il frontman Cameron Winter sa trasformare la voce in un falsetto alla Thom Yorke, oppure nel timbro fighetto di Julian Casablancas o Ian McCulloch degli Echo and the Bunnymen, o ancora in un grido stentato che fa venire in mente Mark E. Smith dei Fall o Alex Turner degli Arctic Monkeys. A volte tutte queste voci s’alternano in una stessa canzone, in un disco che ricompensa chi ascolta con attenzione e chi è un po’ più distratto. Sentire questa band che passa da una rivelazione sonora all’altra è un vero piacere.
Anche se suonano assieme da anni, attorno ai Geese c’è l’hype tipico delle band neonate. Grazie al tempo passato in sala prove hanno sviluppato un’intesa da veterani e una sicurezza sconcertante considerando la loro età. Fanno venire in mente quei tipi incredibilmente intelligenti che s’incontrano al primo anno d’università, quelli che dicono con noncuranza di aver già letto l’Ulisse di Joyce.
Fantasies/Survival si apre con un riff divertente che ricorda i primi Strokes per poi accelerare fino alla stratosfera, con la giacca di pelle che si trasforma nel mantello di Superman. First World Warrior si basa su un fantastico tappeto ambient, un contrasto profondo con i pezzi più obliqui e incandescenti come Rain Dance.
Nei momenti migliori, i Geese tengono insieme due impulsi: il lato irrequieto e quello sognante si incontrano per dare vita a musica che è eccitante e nel contempo disorientante. Hanno le conoscenze musicali di un adulto e il senso di meraviglia, le ambiguità e le preoccupazioni tipici dei teenager più brillanti. “Ho paura del mondo / perché non so cosa potrebbe fare”, canta Winter in Exploding House, la loro versione della rabbia paranoide di OK Computer. Quando la title track si apre con la frase “Sotto la cantina / Sono il re delle cicale”, l’arroganza sembra ironica: quando un minuto dopo Winter aggiunge “sono solo umano”, sembra decisamente più sincero.
Il cuore dell’album è rappresentato dal singolo di sei minuti Disco, che passa da suoni tempestosi no wave al surrealismo chitarristico dei Television. Nel testo, Winter descrive una serataccia in un club che sembra la versione da incubo del paradiso newyorkese raccontato dagli Strokes: “Mi hai versato il drink addosso mentre mi avvicinavo / Ma ti ho comunque chiesto di venire via / Parlo allo specchio come se stessi cercando la rissa”. Non è una brutta metafora per raccontare com’è vivere in quel reality show horror che è il 2021. Per fortuna, i Geese conoscono tutti i suoni giusti per farci divertire lo stesso.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.