“Come sarebbe, se fossi tu il songwriter e amarmi fosse il tuo capolavoro misconosciuto?”. Si chiede Josh Tillman – rivolgendosi verosimilmente a sua moglie, nonché rinomata musa – in Songwriter, uno dei pezzi più belli del suo quarto album nelle vesti di Father John Misty. Beh, con tutto il rispetto per le doti cantautorali di Emma, la risposta è che ci saremmo persi un capolavoro.
Lo dico contro ogni aspettativa, visto che God’s Favorite Customer arriva a poco più di un anno da Pure Comedy, un album che ho cominciato a riconsiderare un mezzo passo falso, almeno al cospetto di I Love You, Honeybear, uno dei migliori lavori degli ultimi anni. Insomma, niente faceva presagire che ci fossero i presupposti per trovare idee o ispirazione in questo accelerazionismo produttivo, invece – passata la sbornia mistica e il tentativo non riuscitissimo di inserire particelle di critica sociale – ecco dieci pezzi uno più bello dell’altro.
Nessuna grande novità in termini di arrangiamenti e sound, anzi, si percepisce un generico tentativo di evitare ogni slancio virtuoso o barocchismo fuori luogo. Pezzi non più lunghi di cinque minuti, molti pianoforte e voce, che probabilmente è la soluzione nella quale Mr. Tillman rende al meglio, e quel suo modo un po’ depresso e un po’ umoristico di scrivere canzoni come in Please Don’t Die e The palace: mattinate perse nei nulla di fatto, nostalgia e senso di insofferenza che spingono a dire “I’m feeling older than my 35 years”, il tutto illanguidito dallo sfaldamento di quella romantica e struggente luna di miele con Emma.
La forza di God’s Favorite Customer si genera nella fiducia di un songwriting che non cerca scappatoie dalla narrazione, e ci regala un album commovente che si conclude con un apice di lennonismo nell’intenso abbraccio finale di We Are Only People, rassicurante tanto quanto il fatto che è Tillman a essere il songwriter.