C’è qualcosa di squisitamente ingenuo e molto comunista nel fare un biopic su Karl Marx e raccontarlo con una così partecipe ingenuità. D’altronde Raoul Peck, già autore del bellissimo I Am Not Your Negro, fa capire il senso dell’operazione in una delle scene finali: Marx ed Engels (August Diehl e Stefan Konarske), su una spiaggia, litigano.
Il secondo vince le resistenze del primo dicendogli che nessuna grande filosofia salverà il mondo, perché sarà prima di tutto necessario un testo semplice, comprensibile: il Manifesto del Partito Comunista. E il cineasta questo decide di fare: un film semplice, lineare, che arrivi a tutti. Perché la Causa possa giovarne.
Un approccio ideologico, romantico, adatto al personaggio, al tema e al racconto che al netto di costumi, dialoghi e avvenimenti, stupisce per l’attualità. Come il fermento politico, morale e sociale che qui e ora non vedi. Marx, nell’opera, è più realista di quanto la Storia lo abbia raccontato, un filosofo polemista e un economista raffinato, un materialista che non vuole slogan vuoti, ma che i lavoratori di tutto il mondo si prendano ciò che è giusto.
Un uomo politico capace di grandi visioni e di grandi fragilità come amico e sodale con Engels, e come marito con Jenny (Vicky Krieps). La storia si dipana tra il 1844 e il 1848: il proletariato sta per liberare il mondo con i moti rivoluzionari, ma non se stesso. Succederà spesso nei 170 anni successivi: come testimonia, sui titoli di coda, il montaggio di fotogrammi di rivoluzioni (quasi tutte tradite) sulle note di Like a Rolling Stone.