Da che esiste non è mai facile capire il pop, che questo si trovi al suo stato più puro o applicato al rock come nel caso degli Imagine Dragons. Non è facile capire il pop perché per farlo occorre intercettare profondamente non solo il suono che lo definisce, ma pure il modo in cui questo suono intercetta a sua volta l’udito del mondo destinato, programmaticamente, ad accoglierlo su larghissima scala.
La scala degli Imagine Dragons è, infatti, gigantesca, lo è dai tempi di singoli come Radioactive, I Bet My Life e Demons, dalle apparizioni televisive a casa Jay Leno e Jimmy Fallon, dalla scalata statuaria delle classifiche e dalla pioggia di dischi… anche d’oro. Ancora una volta, con questo Evolve, e con una Believer certificata disco di platino (con un’immediatezza di cui solo, appunto, il pop), gli Imagine Dragons ci sfidano a cercare di capire il loro sound, capace di attraversare il mondo tra cori epici, chitarroni e inserti electro estremi, metallizzati e tamarri.
Eppure dobbiamo farci i conti perché, ecco, questo è quello che sta succedendo al pop: numeri, premi, ori e platini che però non rispondono a un’effettiva sostanza nobile del discorso o a tentativi elementari di tirar fuori un nucleo compositivo degno, che quando sembra rilanciarsi verso spazi più alti e interessanti, si distorce verso la facilità trascurando la necessità di un discorso.
Il titolo, già acquisito, di Band Emergente di maggior successo dell’anno (2012) ce la dice lunga e sottolinea il punto: successo, quel successo planetario a cui dobbiamo prestare attenzione ma che non può bastare a convincerci del cratere corale e vuoto di questo sound dove Coldplay, Mumford & Sons e Depeche Mode si fanno tutti, diversamente, piatti, aderendo alla superficie degli stadi che lo ospiteranno e delle mani in aria, le stesse che fanno, da sempre, il peso del pop di un momento storico.
Possiamo assumerci la responsabilità di dirlo? Sì: plastica, per il momento.