“Il ritorno di uno specialista del genere”, dicono. “Forse il thriller erotico non è morto come si credeva”, aggiungono. Non importa se l’uscita di Acque profonde con Ben Affleck e Ana de Armas, il primo di Adrian Lyne a vent’anni da L’amore infedele – Unfaithful, è stata più volte rimandata. Non era necessariamente un cattivo presagio, ma solo la realtà pandemica che ha condizionato il corso di molti film. Lo stesso vale per il fatto che negli Stati Uniti il film sia stato distribuito lo stesso giorno sia nelle sale che sulle piattaforme (in Italia è disponibile su Amazon Prime Video dal 18 marzo, ndt). Del resto, i thriller erotici sono stati distribuiti quasi sempre direttamente in modalità direct-to-video; il successo nelle sale dei più famosi esemplari di questo genere come Basic Instinct o Attrazione fatale, quest’ultimo diretto dallo stesso Lyne, tende ad oscurare questo dato di fatto. Se c’è un genere che può rifiorire nell’era dello streaming, è proprio quello che un adulto rispettabile preferisce guardare a casa per attenuare il senso di colpa da guilty pleasure. È il genere da molti considerato spazzatura con cui ci sembra di “tradire” film più degni di questo nome, e l’epoca che viviamo rende questo stesso tradimento assai più perdonabile. Oggi non ci sono biglietti del cinema che possono spedirci all’inferno, solo algoritmi che ci promettono di non mostrare al Diavolo la cronologia dei nostri stream (anche se quella cronologia esiste, e lo sappiamo benissimo).
Questa è la doverosa premessa. Detto questo, Acque profonde non è un guilty pleasure davvero soddisfacente. Non aggiunge nulla a quello che già sapevamo. O meglio: non lo fa in modo originale, ma solo tediosissimo. I classici ingredienti ci sono tutti, ma hanno poco senso anche rispetto agli standard di un genere che – e su questo siamo tutti d’accordo – non sempre un senso deve averlo. Ho riso molto più di quanto non fosse previsto, il che dovrà pur significare qualcosa. E la smorfia con cui Affleck “interpreta” questo riccone/psicopatico contribuisce al fatto che ciò accada; pure Ana de Armas, che invece (s)veste i panni della femme fatale al di sopra di ogni sospetto (o forse no) e col vizio di uomini più belli che intelligenti destinati a morte certa, ci mette del suo. Il nonsense alla base di Acque profonde – e la richiesta di aumentare di scena in scena la nostra già stratosferica sospensione dell’incredulità – ha anche il suo fascino, almeno per un po’, non fosse che per la sua imprevedibilità. Il film, perlomeno all’inizio, rivela un’ambiguità sufficiente a farti chiedere se è consapevole di quel che sta facendo. Poi quel poco che c’è di buono deraglia. E resta ancora un’ora buona da guardare.
Acque profonde è il libero adattamento di Zach Helm e Sam Levinson (Euphoria) del romanzo omonimo del 1957 firmato Patricia Highsmith, la maestra del thriller che ha inventato il celeberrimo Mr. Ripley. Nel libro, quantomeno, Vic (interpretato sullo schermo da Affleck) e Melinda Van Allen (de Armas) impostano i confini ad altissimo voltaggio della loro relazione accettando che il loro sia un matrimonio aperto. La prima differenza del film è lasciarti invece col dubbio, anzi con un punto di domanda. Il quesito non è sul fatto che Vic sappia o meno che sua moglie va a letto con altri uomini: tutti, nella loro piccola e torrida cittadina, lo sanno. Piuttosto, è relativo al fatto che Vic accetti oppure no che ciò avvenga. Il poco fascinoso ma tutto sommato gradevole Vic non sembra avere relazioni extraconiugali di par suo, ma solo dei bizzarri passatempi (ha un allevamento di lumache in garage: e non è una battuta). I suoi più cari amici gli chiedono sempre, non senza una certa preoccupazione ma sapendo già la risposta, “Ma tu pensi che Melinda…?”; e Vic risponde loro rassicurandoli, con il fare di chi pensa sempre che va tutto bene. Si vergogna del suo matrimonio aperto o è un coglione che non vede quello che avviene sotto i suoi occhi?
In tutto ciò, gli amanti di Melinda continuano a scomparire: traete voi le debite conclusioni. Vic è intelligente: e questo è uno dei dettagli più ridicoli di Acque profonde. È così intelligente da aver sviluppato la controversa tecnologia del predator drone, utilizzata dal Governo nelle operazioni belliche; è così intelligente da essere andato “in pensione” da giovanissimo, per godersi la sua lussuosissima vita. Ed è così sicuro di sé da far apparire Melinda sciocca, irrilevante, tutto fuorché intelligente. Quando lui le dice che è attratto dalle donne col cervello, lei si offende. Quando lei dimostra interesse per dei fusti assai poco svegli, è invece lui a prenderla sul personale.
Di cosa parla esattamente Acque profonde? Il thriller erotico in cui si è sempre cimentato Lyne poggiava sulla componente sensuale, certamente, ma anche su premesse granitiche, riguardo alle vite dei personaggi coinvolti: il fatto che i soldi non possano garantire la felicità o la sicurezza di un matrimonio, ad esempio; o il fatto che la vita domestica porti inevitabilmente alla noia; non ultimo, il fatto che l’espressione “crazy bitch” può essere indistintamente attribuita alle donne come agli uomini. Così accade in Acque profonde, o dovrebbe accadere, se solo il film riuscisse a farci capire cosa vorrebbe essere. Gli ingredienti ci sono tutti, dicevamo. Melinda è la metà più giovane di una coppia in cui è evidente una grande differenza d’età, elemento che il film ci mette di fronte senza però mai approfondire la questione. Vediamo solo una donna che sembra soffrire il fatto che il marito abbia già esaudito tutto: la sua fame (in ogni senso), i suoi bisogni, le cose che lo rendono un uomo. Melinda viene lasciata completamente sola, anche nel conseguimento delle sue necessità più essenziali (leggi: il sesso). “Non vuole controllarmi come farebbe un uomo normale”, si lamenta lei con uno dei suoi amanti. Cosa deve fare una ragazza per farsi slacciare il corsetto?
Nei suoi momenti migliori, Acque profonde rivela una certa ironia: per esempio nella predilezione, da parte di Melinda, di uomini con le fattezze di bellocci come Jacob Elordi e Finn Wittrock. È un genere preciso. Ed è anche un ribaltamento dei cliché associati al genere sessuale: di solito non sono gli uomini a uscire con donne più giovani (e principalmente per la loro avvenenza)? Buon per Melinda. È forse il trucco con cui cerca di irritare Vic, nel loro gioco perverso? Il film è più coraggioso (e, in definitiva, più interessante) nei suoi stessi preliminari: e cioè nell’energia erotica che, da giochini come quello suddetto, all’inizio sembra scaturire nella relazione tra i Van Allen. Ti porta a credere che la gelosia sia qualcosa con cui i due coniugi vogliono, appunto, giocare. Lei si fa cogliere in flagrante; lui la scopre, come del resto era previsto; lei porta i suoi amanti a casa; quegli uomini puntualmente scompaiono. Vic e Melinda non saranno forse la prima coppia a scoprire che la gelosia è un potentissimo propellente erotico, e nemmeno i primi a scoprire che tutto questo può anche tragicamente portare alla violenza domestica. Il problema è che alla fine di Acque profonde non è ancora del tutto chiaro che cosa questa storia abbia voluto dirci. Il film ha tutti gli elementi del gioco erotico, di un perverso passo a due che dal letto dei Van Allen si sposta, di volta in volta, in una piscina o dentro un bosco. Ma il film non ha la spina dorsale di cui avrebbe bisogno per reggere tutto questo, e nemmeno il senso dello humour in grado di chiarire che questa è, appunto, una partita di cui entrambi i giocatori sono consapevoli. (Da questo punto di vista, il romanzo originale è molto meno ambiguo.)
Lyne ha già dato prova della sua capacità di mantenere un equilibrio anche psicologicamente verosimile tra ragione (che dà credibilità ai personaggi) e insensatezza (che dà quel tocco di trash diventato marchio di fabbrica). Tutto quello che non sapevamo esplicitamente sulla pazza/sexy Alex Forrest interpretata da Glenn Close in Attrazione fatale era ancora più efficace nel depistarci: eravamo continuamente sospesi tra il trovarla una psicopatica fatta e finita e il domandarci, invece, “Ma davvero siamo sicuri di condannarla?”, e questo tira-e-molla durava per tutto il film. La sua violenza era insensata, ma le sue emozioni alla base rendevano quella furia così confusa e irrazionale comprensibile; e alla stessa Close era stata data la piena libertà di lavorare con la propria immaginazione, per costruire quel celebre personaggio.
Melinda – che secondo il marito beve troppo, ed è decisamente più affascinante quando è fuori controllo – non rende un buon servizio a de Armas. Un film migliore di questo avrebbe reso più interessante la sua Melinda: rispetto ai suoi comportamenti così contraddittori, al suo continuo frenarsi per poi essere spregiudicata; e rispetto al fatto che suo marito, chiaramente un assassino (non è uno spoiler), è molto più legato alla figlia Trixie (Grace Jenkins) di quanto non lo sia lei come madre. De Armas riesce a lasciare aperti questi interrogativi su Melinda. Ma se il personaggio di Vic sembra in qualche modo “sviluppato” (anche se, nei fatti, inconsistente), la psicologia di Melinda resta del tutto elementare. Ti resta il dubbio che di questo film esistesse una versione precedente, e più completa, in cui lei era più presente.
Il film di Lyne si ferma ai preliminari. La famosa pistola di Čechov è carica e ben lucidata, e pronta a sparare a ogni minuto: ma per qualche ragione – è colpa del regista? dei produttori? – non esplode nessun colpo. Gli unici buchi che si vedono sono quelli psicologici. E ci si chiede come un thriller apparentemente intrigante come questo sia andato smarrito lungo il percorso – esattamente come gli amanti di Melinda.
Resta la bella performance di de Armas, che con il suo carisma riesce continuamente a confonderci, nonostante un personaggio così povero e scritto male. Ed è divertente seguire la tesi secondo cui l’immagine pubblica di una persona supera sempre anche i sospetti che pesano su di lei; in questo senso è buona la scelta di Affleck, il tipo d’uomo apparentemente buono e ingenuo verso cui saremo sempre spinti a parteggiare. Gli amici e i vicini dei Van Allen (interpretati da volti come Tracy Letts, Kristen Connolly e Lil Rel Howery), non a caso, sono tutti schierati dalla parte di Vic, eccetto uno. Ma è ridicolo che tutti i personaggi caschino nella simulazione del “papà normale! uomo qualunque! non c’è niente da vedere!” incarnata da Affleck, e che trovino sincero quel suo comicissimo ghigno. Ci vorrebbe la giusta suspense, e invece Acque profonde perde in un attimo tutta la tensione – e, con essa, perde anche il povero spettatore.