Juice WRLD è stato al centro dell’attenzione per un anno e mezzo e per tutto quel periodo è stato consumato dall’idea della morte, metafora perfetta per le sue infinite sofferenze emotive. Mentre diventava una delle voci più vitali del pop, si descriveva come un uomo con un piede nella fossa, intrappolato in una spirale di ansia, depressione, dolore e tossicodipendenza. La sua ipersensibilità sconfinava nella preveggenza: il modo in cui sentiva la vicinanza della fine ha reso ancora più tragica e surreale la sua morte per overdose accidentale di ossicodone e codeina avvenuta nel dicembre 2019, poco meno di una settimana dopo il 21esimo compleanno. Ascoltare l’album postumo Legends Never Die è un’altra strana esperienza: Juice ci parla dei suoi dolori direttamente dall’aldilà. “Sono su Instagram Live in diretta dal Paradiso”, dice nell’ultima traccia dell’album, uno skit recuperato da un livestream del 2019. “Ce l’ho fatta, sono quassù”.
Il talento di Juice per la melodia e il freestyle l’hanno trasformato in una macchina da hit. Era velocissimo. Ha completato il suo ultimo album da vivo Death Race to Love in tre giorni e pare che prima di morire abbia registrato qualcosa come 2000 canzoni. Si concentrava su temi precisi e Legends Never Die contiene perciò poche rivelazioni. Come gran parte del suo catalogo, è caratterizzato da testi diretti e d’impatto che però risultano quasi semplicistici: “Ho detto che ero ok, ma mentivo, mi sembra di morire / La mia anima grida e piange, sento il cervello che frigge / Cerco di anestetizzarmi con le droghe che compro”. In tutto l’album, Juice descrive un circolo vizioso di ansia e automedicazione che ritrae come demoni che aspettano nascosti nell’ombra. A differenza di Chance the Rapper, la sua controparte di Chicago, Juice non può semplicemente mettere “la testa di Satana nel cesso”. Ogni sforzo appare futile, a parte forse un esorcismo.
Se Death Race utilizzava sample tipici delle produzioni rap moderne, Legends Never Die mette al centro la chitarra, uno strumento che tiene assieme hip hop e varie sfumature di pop-punk ed emo. I momenti migliori sono quelli in cui Juice mette da parte il narcisismo e tempera il suo fatalismo con un senso di speranza e comunità, quelli in cui privelgia il bianco rispetto al nero della depressione. In Righteous affronta il vuoto senza paura: “Saprò quando arriverà il momento / Non ho mai visto un inferno così freddo / Sì, ce la faremo, lo so / Correremo tra le fiamme, andiamo”. La stessa fede torna in Wishing Well, un brano sognante che deve molto ai Blink-182. Legends si chiude con un brano potente, Man of the Year, in cui Juice si ritrova a Londra e propone un brindisi che fa sembrare la O2 Arena piccola come un pub: “Alziamo le mani, cantiamo e balliamo / Sono qui per salvarvi”.
Con 475 mila copie equivalenti vendute nella prima settimana, Legends Never Die è la prova che Juice era una superstar, il che rende ancora più volgare il tentativo di fabbricare un’agiografia in Anxiety e The Man, The Myth, The Legend. I due pezzi contengono testimonianze di Rob Markman, Eminem e Lil Dicky sul talento di Juice, e però suonano freddi come recensioni di un qualunque prodotto su Amazon. Juice WLRD non ha bisogno di marketing. È già leggenda.