Oooh-ooh. Uooh-oh. Aaah-ah-oh. È tutto un coro da stadio questo nuovo album dei Thirty Seconds to Mars. Non ci lasciamo andare subito a uno spietato buuu-uh di disapprovazione solo perché si tratta della band di Jared Leto, fascinoso stacanovista dell’entertainment che merita tutta la nostra attenzione e tutto il nostro rispetto. Con un premio Oscar sul comodino e un’agenda che più fitta non si può, il bel Jared potrebbe serenamente risparmiarsi di registrare dischi e andarli a cantare in giro per il mondo, eppure eccolo qui con America e una voglia matta di fare la rockstar.
Questo quinto album dei Thirty Seconds to Mars si rivela purtroppo per quel poco che è: 12 canzoni di rock inutilmente pomposo, tanto poppettoso, contaminato dal peggio della musica di questo XXI secolo. Non bastano certo la simbologia para-esoterica, il battage promozionale socio-politico, le collaborazioni con A$AP Rocky (per One Track Mind) e Halsey (Love is Madness), una strizzata d’occhio agli Who (l’intro di Great Wide Open) o un ritornello furbacchione come quello di Dangerous Night a rendere anche solo vagamente interessante questo lavoro. Per farla breve, gli Imagine Dragons risultano ormai molto più godibili dei Thirty Seconds to Mars e, più che monolitico, America è un disco monotono, che fa venire davvero voglia di recitare un requiem for a dream. Dai, Jared, dedicati al cinema e lascia perdere i sogni da rocker.
Detto ciò, e nonostante la defezione del chitarrista Tomo Milicevic che ha abbandonato i fratelli Leto (ricordiamolo, alla batteria c’è Shannon) proprio prima delle date italiane, The Monolith Tour è e sarà comunque un trionfo sold-out, con un esercito di fan adoranti pronte ad accompagnare Leto in ogni suo singolo oooh-ooh, uooh-oh e aaah-ah-oh. E il sogno continua.