Il sito dell’ente turistico norvegese indica il metal come una delle maggiori attrattive culturali del Paese. Non è un caso, quindi, che la musicista e artista Jenny Hval (nata a Oslo nel 1980) abbia pubblicato il suo sesto disco, Blood Bitch che, pur suonando in alcuni momenti apparentemente pop – pop d’avanguardia, ok – sia black metal nella struttura delle canzoni, nelle atmosfere, e nell’animo. È un concept album carico di idee ricorrenti, un progetto a cavallo tra il serio e il surreale, i cui temi sono il vampirismo, il desiderio, il sangue (mestruale, più che altro). I titoli stessi sembrano horror anni ’60 in stile Hammer Studios: Ritual Awakening, In the Red, Female Vampire, The Great Undressing, The Plague. Le sue 50 e oltre sfumature di oscurità Hval le analizza tutte, senza paura di turbare l’ascoltatore, ma anche con una certa levità: consapevole che è uno sporco lavoro gestire tutto questo orrore, ma: a) è dalla morte che nasce la vita ecc.; b) qualcuno lo deve pur fare. “Non avere paura”, ci rassicura Jenny nella traccia Period Piece, “è soltanto sangue”.
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