Justice, il sesto album di Justin Bieber, si apre con la voce di Martin Luther King: «L’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque», dichiara l’icona per i diritti civili, lasciandoci in attesa, persino con un po’ di trepidazione, di un qualche tipo di dichiarazione della popstar 27enne su questi tempi assurdi.
E invece Bieber inizia a tessere le lodi della sua amata in falsetto (“non voglio chiudere gli occhi, ho paura che perderei troppo”), supportato dal pianoforte romantico che dà forma a 2 Much, una canzone che parla di come la luna di miele tra i due non sia ancora finita. Quando il Reverendo King torna, a metà disco, per ricordarci l’importanza di trovare una causa per cui valga la pena morire, è seguito dal brano più zuccheroso del disco, Die for You (qui si muore per una donna, non per un principio).
Nel migliore dei casi, quelle citazioni somigliano ai tweet fatti senza grande convinzione per il Black History Month. Nei casi peggiori, sono modi per cooptare e banalizzare il messaggio dell’uomo che dicono di onorare. Ma al di là di questo, Justice è comunque un disco sincero e sobrio. Le promesse di adorazione eterna che contiene sono forme di riverenza, prive di erotismo; i brani più dance e movimentati ti fanno muovere evitando il sapore bubblegum di Yummy.
Il messaggio di Justice, insomma, è che Justin Bieber è diventato adulto. Holy, in collaborazione con un altro sostenitore del matrimonio, Chance the Rapper, celebra la spiritualità dell’amore terreno di Bieber, mentre la gioiosa Hold On è la promessa di un uomo che “sa come ci si sente quando si perde la strada”, rivolta ad altre anime perdute.
Il resto dell’album è però pieno di misere canzoni d’amore. In Deserve You canta “prego di non tornare più com’ero prima”, mentre in As I Am, un duetto con Khalid, confessa: “quando allontano il tuo amore / mi odio”.
Ascoltate una alla volta, queste canzoni possono sembrare dolci, ma tutti insieme lasciano una sensazione strana. Le confessioni di inadeguatezza che in bocca ad adorabili ragazzini pop sono affascinanti nella bocca di un adulto diventano strane. Sei anni dopo le scuse di Sorry, sembra che Justin sia ancora in cerca di perdono.
Justice è comunque un disco di pop costruito con professionalità. È pieno di canzoni che hanno già conquistato le classifiche, con ritmi al passo coi tempi come l’Afrobeat che appare insieme a Burna Boy. Al centro c’è la voce di Bieber, nel bene e nel male. Oggi è un cantante più maturo e padroneggia alcune di queste canzoni in modo impressionante, ma non ha ancora maturato una sua identità vocale. Justin Bieber è buono tanto quanto le canzoni che canta.
Per fortuna, il disco si chiude con due grandi ballad, diverse una dall’altra, ma entrambe perfette per lui. Sono Anyone, una monumentale promessa d’amore eterno, e il pianto disperato della celebrità di Lonely, che non evita del tutto l’autocommiserazione, ma ti fa tifare per l’idiot kid che Bieber era un tempo. E questa sì che è una storia su cui ha qualcosa da dire.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.