“Dobbiamo crescere per forza?”, chiedeva Kacey Musgraves in Pageant Material. Era il 2015 e la cantante affrontava aspettative impossibili e cercava di capire in che direzione andare dopo l’eccellente debutto del 2013, Same Trailer Different Park, un disco che ha dettato gli standard della narrativa country dei millennial.
In Golden Hour del 2018 Musgraves ha dimostrato con quanta facilità può maturare un’artista, e senza smettere di divertirsi un mondo. Golden Hour era un rodeo zen, un’opera (premiata con un Grammy) in cui la cantautrice mischiava giochi di parole brillanti con banjo e vocoder, rafforzando il suo profilo di texana tradizionalista e allo stesso tempo esplorando nuove possibilità sonore per il country contemporaneo.
Grazie al successo critico, artistico e commerciale del disco, Musgraves è di nuovo di fronte a una pressione straordinaria. E perciò è tornata a quella domanda da Peter Pan del 2015, ma la risposta non le piace affatto: “Essere adulti fa schifo”, canta in Simple Times, la canzone più convincente e diretta di Star-Crossed, un disco avvincente, splendidamente stravagante e talvolta deludente. L’album porta avanti i suoni country-pop e le atmosfere da cowboy spaziali di Golden Hour. È anche il primo di Musgraves senza co-autori del giro di Nashville, a parte Ian Fitchuk e Daniel Tashian, e non contiene praticamente nessun banjo. Ci sono, invece, una tonnellata di sintetizzatori, un assurdo assolo di flauto e una cover in spagnolo di una canzone di Violeta Parra, leggenda del folk cileno.
Musgraves sceglie una cornice narrativa alla Romeo e Giulietta per raccontare una classica storia country: quella del divorzio dal collega cantautore Ruston Kelly, lo stesso che aveva ispirato Golden Hour. Molte canzoni dell’album parlano del dolore post-separazione. C’è Breadwinner, che ricorda High Horse e Dolly Parton e contiene abbastanza veleno da riempire un intero disco di canzoni sul divorzio. Oppure Camera Roll, dove Musgraves sembra evocare lo spirito di Jackson Browne mentre riguarda vecchie fotografie sul telefono.
Anche pensando alle lacrime adesive e ai fazzoletti del merchandising che accompagna l’uscita del disco, è difficile non pensare che Musgraves si sentisse obbligata a scrivere un disco straziante sul divorzio. Per fortuna, la cantautrice è più intelligente di così e, nei momenti migliori, offre una rilettura personale di tutti i cliché che hanno accompagnato i dischi ad alto budget sulla fine di un amore.
La drammatica title track e la copertina col cuore spezzato sono geniali depistaggi per un disco che diventa commovente quando non forza momenti di catarsi, ma quando lascia che Musgraves faccia quello che le viene meglio: documentare il caos terrificante delle sue emozioni. Prendete il ritornello di Justified: “Se piangessi un po’ / e poi iniziassi a ridere / Se ti odiassi / per poi amarti / e cambiare idea ancora”. Oppure Cherry Blossom, una riflessione su come innamorarsi dopo aver scoperto che le cose non hanno funzionato.
L’aspetto più commovente di Star-Crossed sta nel racconto dell’alienazione e della disconnessione emotiva. In Simple Times, Musgraves paragona la vita adulta alla simulazione in un videogioco. Nel pezzo successivo, If This Was a Movie…, immagina che fine avrebbe fatto la sua storia se fosse stata scritta da uno sceneggiatore di Hollywood. Arrivata al climax, Musgraves è commossa da una gratitudine che ricorda un verso del suo primo disco: “Le cose vanno così / e poi non vanno più”. Questo esistenzialismo realista è frutto di duro lavoro, e somiglia una vittoria. Ora avanti col prossimo capitolo.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.