Kamasi Washington, la recensione di 'Heaven and Earth' | Rolling Stone Italia
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Kamasi Washington è il Bruce Lee del jazz

Dentro 'Heaven and Earth' convivono Coltrane e gli anni '70, e Kamasi è come un sacerdote che ha riportato il jazz nelle arene del rock

Vestito con i panni di un sacerdote cosmico a indicarci la strada verso l’inner e l’outer, dentro e fuori, il cielo e la terra, a farci entrare nella celebrazione dei tempi lunghi della sua orchestra. Figlio d’arte, capobanda di un’intera famiglia di musicisti a Los Angeles, Kamasi Washington rimette il jazz tra virgolette e lo rende nuovamente spendibile nell’arena della cultura pop e rock.

Si può storcere il naso? Sì e no. La radicalità del jazz dal ’68 in avanti è sempre stata nel qui e ora, nel gesto free che si fa immediata dichiarazione politica, semmai nella trance elettrica di Miles Davis. Il museo e le copertine dei vinili da appendere ai muri in un modo o nell’altro ci hanno sempre fregato. Dentro Heaven and Earth ci sono gli standard di Freddie Hubbard e le colonne sonore di Bruce Lee, John Coltrane e lo smooth jazz dei telefilm anni ’70 (allo stesso modo un Debussy faceva capolino nel precedente album The Epic); ci sono le copertine dei dischi Impulse di Pharoah Sanders e il gran bal negre novecentista di Duke Ellington.

Il jazz spiegato ai ragazzi, suonato (campionato?) come se fosse hip hop e viceversa. Oppure, anche: il jazz come indicazione lontana di un altro tempo possibile, il rituale tema-assolo-tema come promessa di una nuova Rivelazione. E, infine, fuoco che cova sotto la cenere.

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