Bruno Belissimo, la recensione di 'Ghetto Falsetto' | Rolling Stone Italia
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La lezione di stile di Bruno Belissimo

'Ghetto Falsetto' è un album malizioso, ambientato in un tramonto che non passa mai e ricco di influenze, dal funk alle percussioni tropicali

Bruno Belissimo. Foto Erminando Aliaj.

Qualcuno all’inizio dell’anno ha rubato il computer di Bruno Belissimo: dentro l’hard disk c’erano i provini del nuovo album, una catastrofe per quasi tutti i musicisti del pianeta. E invece no, perché tornato in studio Bruno ha tirato giù dieci pezzi in un mese, e ascoltando Ghetto Falsetto viene da pensare che si sia pure divertito un mondo.

Il disco del producer è un concentrato di space disco dipinta con chitarrine funkettone (Urlo Libero), percussioni tropicali (La Pampa Austral), arpeggiatori horror (Horror Tropical) e contrappunti di fiati. C’è anche spazio per il bel canto: prima Soft Porn (feat. Foxy Galore), un singolo perfetto per i titoli di coda di un b-movie all’italiana, poi Don’t Bother with Hardware, una filastrocca di 70 secondi che lancia un messaggio ai posteri: “non suona male, il digitale”.

Una lezione di stile maliziosa, ambientata in una specie di San Junipero dove il tramonto non passa mai e tutti portano baffi a manubrio.

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