La prima cosa che dovete sapere della seconda stagione di Narcos, è che alla fine Pablo Escobar muore. È forse l’unica serie tv in cui non solo è possibile, ma è doveroso fare uno spoiler di questo tipo.
In effetti la vita di Escobar è stata tanto avventurosa che per un momento uno potrebbe anche dimenticare che il Re della cocaina, il boss colombiano della droga che tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso ha costruito un impero che lo ha portato a essere il 7° uomo più ricco del mondo – spendeva 3000 dollari al mese in elastici per legare le banconote, tanto per dire – è stato ucciso dalla polizia il 2 dicembre 1993.
La prima stagione di Narcos terminava con Escobar (un grandissimo Wagner Moura, attore brasiliano famoso per i due brutali e controversi Tropa de Elite) che fuggiva sotto il naso della polizia da La Catedral, la prigione di lusso che lui stesso si era edificato su misura. E la seconda stagione riprende proprio da lì: ora Escobar è più solo e più vulnerabile. Non può fidarsi davvero di nessuno, e la sua famiglia è di nuovo in pericolo.
Potrebbe scappare, portare i suoi cari e il denaro all’estero. Ma Pablo non vuole vivere in fuga, costretto a guardarsi alle spalle continuamente. L’uomo che qualche anno prima sognava di diventare il presidente della Colombia, più di ogni altra cosa desidera rispetto: soprattutto da parte della élite colombiana a cui ha sempre saputo di non appartenere. Come un dittatore, Pablo ha bisogno di sentirsi amato dal suo popolo, e temuto da suoi nemici.
Mentre la prima stagione di Narcos copriva cronologicamente circa 15 anni della vita di Escobar, la seconda, più dinamica, si svolge lungo un arco lungo solo 18 mesi: il tono, quindi, passa decisamente dall’epico al drammatico. L’uso del voice over è più limitato, lo stile meno documentaristico, e la narrazione si concentra maggiormente sui personaggi: non solo Escobar, ma anche gli agenti della DEA Steve Murphy (Boyd Holbrook) e Javier Peña (Pedro Pascal). In queste nuove dieci puntate vedremo un Escobar battersi fino all’ultimo per riconquistare il potere, come un animale braccato, ferito, ma ancora pericolosissimo. E nonostante sia impossibile fare il tifo per lui – la violenza e la minaccia che quest’uomo rappresenta hanno qualcosa di spaventoso – la grandezza di questa serie sta proprio nel rendere la complessità di un uomo del genere, un mostro che in alcune documentate occasioni è stato capace di essere umano.
Mentre siamo sicuri che Wagner Moura smetterà i panni di Escobar con questa stagione (salvo flashback, come avviene per Ben Mendelsohn in un’altra serie Netflix, Bloodline), sembra probabile che le avventure di Narcos non finiscano con lui. In fondo il titolo è plurale, e la seconda stagione inizia già a spostare il suo focus verso il Messico e il cartello di Cali. Nella finzione come nella realtà, con la caduta di Escobar il traffico di droga verso gli Stati Uniti non è certo diminuito. Anzi.
Quando un Re (della droga) muore, qualcun altro è già pronto a prendere il suo posto. Speriamo sia così anche nella versione narrata da questa bellissima serie.