'Zona Industriale', la recensione | Rolling Stone Italia
Recensioni

La versione di Limonov

Romanzo moderno, strana autobiografia, cartolina della Russia: dopo Carrère, il dissidente racconta in prima persona la sua anima punk e un po' patetica

Meglio non fidarsi troppo dei libri. È lo stesso Eduard Limonov – scrittore, politico nazional-bolscevico, anarchico e dissidente russo, reso celebre dalla spuria, divertentissima biografia bestseller di Emmanuel Carrère – a dichiararlo nella prefazione di questo volume, che il suo editore presenta come un’autobiografia: “Ritengo che questo mio libro sia un romanzo moderno”.

Zona industriale racconta i giorni di Limonov nella periferia di Mosca, a partire dalla sua uscita dal carcere nel 2003, a sessant’anni compiuti, tra vecchie e nuove fidanzate, guardie del corpo, la politica, la scrittura, gli incontri inaspettati. Come Limonov di Carrère era più una biografia dell’autore francese che un racconto affidabile della vita del “personaggio Limonov”, così Zona industriale sembra piuttosto il racconto di una periferia russa che, gradualmente, passa da desolata a senz’anima, da poetica a brutale: due diversi tipi di violenza, dove è facile intuire quale sia la preferenza dell’autore.

Chi avesse pensato che questa potesse essere una “risposta realistica” al libro di Carrère, sarà costretto a ricredersi. Il “Johnny Rotten della letteratura” – definizione dello stesso Limonov, da giovane – ha scritto un memoir che, pur nel suo cinismo e nel suo residuo vitalismo, è pervaso da una nota patetica, quella del vecchio punk che vuole continuare a essere il più figo di tutti. Ma il mondo è cambiato, e quel punk deve venire a patti con qualche stronzata, quelle che per tutta la vita ha cercato evitare. Ed è questa nota patetica che finalmente lo rende, se non più credibile, almeno un po’ più umano.