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L’arma più potente di ‘I Care a Lot’ è il sorriso di Rosamund Pike

Dopo ‘L’amore bugiardo – Gone Girl’ di David Fincher, quel ghigno malizioso e spietato è diventato il marchio di fabbrica dell’attrice inglese. Che ora tiene in piedi un intrigo divertente, ma incapace di mantenere a lungo la sua energia
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C’è un tipo particolare di sorriso, un ghigno insieme smagliante e spaventoso che sembra dirti: «Ti odio». Ma anche: «Adesso ti uccido». Possiamo chiamarlo “il sorriso Pike”? Il nome viene da Rosamund Pike, naturalmente, ovvero colei che lo “indossa” meglio di qualsiasi altro attore in circolazione, e che a quel sorriso maligno aggiunge una voce capace di rappresenta una minaccia ulteriore, grazie al tono da contralto che rende ogni battuta magnetica e allarmante. Quella voce e quel sorriso erano alla base dell’Amore bugiardo – Gone Girl, con cui il nuovo film di Rosamund Pike, I Care a Lot (disponibile su Amazon Prime Video), ha più di un debito. È quel genere di copione articolato attorno al monologo della “Tipa Cool” capace però di lasciare la pagina scritta per penetrare nel nostro cervello. E il genere di doppio ruolo che Pike riesce a interpretare benissimo: è al tempo stesso la moglie piantata e la donna che non vuole essere solo una cazzo di moglie. Eroina e antieroina: se c’è qualcuno che riesce ad azzerare questa differenza, a far diventare le due entità una cosa sola, è Pike.

E il suo sorriso. Non è un caso che una delle prime cose che Marla Grayson (Pike) fa in I Care a Lot sia andare dal dentista. La sua vita è in pericolo. La truffa che manda avanti da anni – uno schema intricato ma plausibile attraverso cui la nostra diventa il tutore legale di anziani completamente o parzialmente incapaci di intendere e di volere, così da poter disporre dei loro beni – è stata scoperta perché ha beccato la vecchia signora che avrebbe fatto meglio a lasciare in pace, tale Jennifer Peterson (Dianne Wiest). Ma la sua priorità è: sistemami quel cazzo di sorriso! Senza quel sorriso, dopotutto, chi diavolo potrebbe essere Marla?

È proprio questa la domanda a cui I Care a Lot cerca di rispondere. Il film di J Blakeson ha i suoi difetti, si dilunga e si trascina troppo a scapito del bel ritmo creato al principio, salta di episodio in episodio trascurando a volte la forza della sua (anti)eroina. Ma la sua intuizione migliore è non dare troppe informazioni sulla protagonista. Di lei sappiamo che è molto abile in quello che fa: è una professionista della truffa con una rete di conoscenze che le permette di farla franca, dal personale della casa di riposo che accoglie gli anziani irretiti a un giudice fin troppo compassionevole (interpretato da Isiah Whitlock Jr.). Sappiamo che ha una complice – che è anche la sua compagna – di nome Fran (una effervescente Eiza González). Sappiamo che ha il “caschetto criminale” tipico di Pike, che è una donna di successo, spietata quando serve e anche quando non serve.

Quando I Care a Lot comincia, capiamo subito che Marla ha colpito il bersaglio sbagliato: una donna che pensava non avesse nessun legame famigliare (o quantomeno nessuno che badasse a lei), e che invece è collegata a un tale di nome Roman Lunyov (Peter Dinklage). Ed eccoci qua. In un mondo popolato da volti fantastici (tra gli altri: Macon Blair, Damian Young, Alicia Witt e Chris Messina), un intrigo ben architettato e un sacco di materia da gestire. Forse troppa, almeno rispetto al potenziale iniziale. Ciò che importa di più a Blakeson sono i faccia a faccia tra Pike e il suo nemico di turno: prima Wiest, poi Dinklage, quindi un elegante ma viscido Messina. Ciò che resta impresso sono i primi piani: quello di Pike (e del suo sorriso); quello dell’incazzatissimo Dinklage; quello dello “squalo” Messina; e quello di Wiest, che recita battute come «Prego, piccolo pezzo di stronza» (l’attrice, una vera leggenda della recitazione, qui si diverte un mondo).

Rosamund Pike e Peter Dinklage in ‘I Care a Lot’. Foto: Amazon Prime Video

È quando cerca di arrivare al “punto” che il film perde la sua forza, e non perché quel punto non sia centrato. Quando ci si avvicina al finale, ciò che funziona meglio sono le idee che vediamo in azione, più della spiegazione vera e propria. I motivi per cui Marla è diventata la donna che è diventata o l’origine della sua sete di vendetta non sono del tutto motivati, come abbiamo già detto (a parte qualche spiegazione in voce off che nemmeno il tono di Pike riesce a rendere convincente). Se il film fosse durato un po’ meno, forse avrebbe potuto mantenere tutta la sua energia.

I Care a Lot vuole piazzare anche un discorso politico: ma la sua critica al tardo capitalismo, al centro del montaggio di sequenze finali, non riesce ad andare davvero a segno. C’è un cuore tagliente e ironico nascosto sotto I Care a Lot, ma purtroppo tende a perdersi nel risultato finale. La forza delle sue scene e performance migliori non coincide sempre con quella generale del film, che si perde dietro un impianto un po’ troppo “espositivo” che, al posto di aggiungere chiarezza, è solo d’intralcio. Ma il film fa l’errore più grande nel terzo atto, indugiando in un episodio di violenza che, se il film avesse mantenuto le promesse iniziali, sarebbe stato il vero «Vaffanculo» gridato da Marla Grayson. Guardate il film per le sue performance e per il concept generale: ma non osservatelo troppo da vicino, perché potreste restarne un po’ delusi.

Da Rolling Stone USA

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