«Now I’m back in the city, the lights are up on me» come se i riflettori non fossero stai accesi ininterrottamente su Liam Gallagher, almeno da due anni a questa parte, quando probabilmente neanche lui, così baldanzoso, si sarebbe aspettato di avere ancora un impatto tale sulla scena che aveva dominato per un decennio buono e abbandonato forzatamente tutti sappiamo perché. Shockwave avrebbe quindi dovuto essere il primo singolo del disco precedente, ma chi avrebbe davvero scommesso su una carriera da solista degna al di fuori degli Oasis per Ourkid? Era fin troppo strano anche solo leggere quel nome in copertina… ma dai, ma chi le scrive le canzoni? Ma ce la fa con la voce? Avrà bisogno di soldi? Fa parte della terapia di riabilitazione?
È noto come è andata a finire e infatti eccoci qui: Why me? Why not. appunto, scemi noi. L’inaspettato successo del Liam Gallagher solista ha tante ragioni, la prima, ovviamente, è data dalla portata immane dei fan orfani degli Oasis nel mondo, anche a distanza di dieci anni puliti dallo scioglimento e da almeno il doppio dagli apici della band. Dall’altra parte c’è una scena generale che è a sua volta orfana di rockstar meritevoli di tale pregio, per cui è stato fin troppo un gioco da ragazzi per LG tornare sul piedistallo, gli ci son voluti un paio di dichiarazioni e gli ingredienti base per fare un po’ di rock’n’roll sul palco. Il che, okay, per certi versi è anacronistico, ma in assenza di proposte migliori, continua a funzionare, vedere le folle ai concerti per credere.
Venendo a questioni prettamente musicali, questo secondo capitolo della saga solista, naturalmente non presenta particolari sorprese, visto che uno dei cavalli di battaglia è proprio la coerenza e il non mettersi a fare reggae, figuriamoci. Se però As you were era stato un ritorno in punta di piedi, persino umile – si fa per dire, è pur sempre Liam Gallagher! – in termini di citazioni e riferimenti espliciti, Why me? Why not. presenta una maggiore frequenza a ricordare i soliti nomi noti che compongono l’olimpo dell’ex frontman degli Oasis (fa ancora male scrivere questa frase).
Abbiamo già citato Shockwave che in apertura scimmiotta le chitarre e le armoniche dei Rolling Stones e si candida a diventare la colonna sonora della pubblicità di un profumo – magari interpretato dallo stesso Liam in uno spin off del video in cui cammina per tutta la città in fiamme nessuno sa per arrivare dove, ma chi se ne frega, staremmo tutti per ore intere a guardarlo camminare a casaccio – subito dopo pareggia il conto Once che più lennoniana non si può, ai limiti di un plagio talmente evidente e dichiarato che vince facile, perché il discorso è semplice: Liam Gallagher dà quello che vogliono le persone che hanno ancora voglia di ascoltare i suoi pezzi, persone che non cercano chissà quale novità, sperimentazioni, suonatrici di forbici o cazzate simili.
Al massimo può piazzare un piano isterico e quell’inaspettato coretto che sorprende in Halo, ma pure lì, guai ad allontanarsi dal parco giochi di Pepperland. A riprova del fatto che i coretti di cui sopra non sono stati un abbaglio, addirittura ritorna il falsetto nella titletrack, da quant’è che non li sentivamo quei falsetti? Boh forse dal 1995. La magia sixties prosegue nelle quasi fatate Alright now che, come da titolo, mostra un Liam Gallagher riappacificato con la propria esistenza al punto da avventurarsi in una davvero inedita escursione psichedelica in Meadow. Ma stiamo scherzando? Hai visto mai che stare lontano da Noel non gli faccia davvero bene, per quanto ogni passaggio sembra una frecciatina nei confronti del fratello maggiore, non bastassero i tweet, ora la polemica ha raggiunto un livello evidente anche nei testi e nei video che non lasciano spazio a interpretazioni.
E qui arriviamo al tasto dolente, perché quanto potrà andare ancora avanti questa storia? Non è che non ci sono altri argomenti oltre alla famigerata diatriba sulla reunion e sui fatti del 2009? Quel che è sicuro è che ora Liam Gallagher è talmente in forma che forse non avrebbe bisogno degli Oasis e anzi, sarebbe persino controproducente, visto che tutto quello che ha intenzione di portare sul palco, è in grado di portarcelo da solo. Certo però chissà come sarebbe se…