A Thom Yorke faceva troppa gola il nuovo Suspiria. Per uno che ha dedicato l’intero ultimo album dei Radiohead al tema della caccia alle streghe – metaforicamente trasposto all’odierno odio verso i migranti, i musulmani, chiunque sia diverso da noi – rappresentava un’occasione troppo succulenta.
D’altro canto bisognava fare i conti con la scomodità di un predecessore ingombrante: i Goblin, autori della colonna sonora del film originale di Dario Argento. «So per certo che Thom Yorke non si è servito del nostro tema principale», mi ha raccontato qualche mese fa Claudio Simonetti, fondatore della band prog. «Non si è voluto mettere a paragone coi Goblin». E così in effetti è stato. I Goblin per fare paura fanno leva su suoni immediatamente catalogabili dal nostro cervello come sinistri, forieri di un pericolo concreto, dietro l’angolo.
Yorke, invece, sposta tutto a un livello più recondito, quasi subconscio. Dietro al pianoforte, che riverbera in mezzo a una sala di danza classica, nasconde paure profonde: la fugacità del tempo, l’imprevedibilità del futuro, i rimpianti. Quando poi in Belongings Thrown In A River, la traccia che segue Suspirium, il lieve arpeggio di piano viene asfissiato lentamente da una nube tossica di archi striduli, è come se la storia d’amore più pura si risolvesse in un incubo di indifferenza e odio gratuito. E il generale horror vacui di elementi strumentali serve soltanto ad affollare l’orecchio prima che un improvviso, oscuro, ancestrale drone dark-ambient svuoti di colpo la stanza. Ci penserà la mente di chi ascolta a colmare il vuoto con pensieri orribili.