Se non è una cosa a tre Louis Garrel non si presenta nemmeno. Scherzi a parte, L’uomo fedele, il suo secondo film da regista, nelle mani sbagliate avrebbe potuto diventare una caricatura di se stesso. Voglio dire, c’è qualcosa di più francese di una commedia romantica sull’infedeltà? E invece Garrel punta tutto sull’amore e non sul sesso, ha il tocco delicato, l’ironia leggera e un talento per la direzione degli attori. Oltre a un asso nella manica: quel tesoro nazionale francese del cinema che è Jean-Claude Carrière, sceneggiatore dei principali film di Luis Buñuel, con la sua vena surreale e la sua visione distaccata delle relazioni.
Per il debutto alla regia con Les deux amis del 2015 (che ovviamente era un ménage à trois), Garrel aveva arruolato la compagna di allora, Golshifteh Farahani, e Vincent Macaigne. Nuovo film, nuovo triangolo: questa volta ai vertici, oltre al sempre carismatico Garrel, ci sono l’attuale moglie dell’enfant prodige, Laetitia Casta, e la figlia di Johnny Depp, Lily-Rose, tutte e due in versione poco glamour e molto efficace. L’attore, uno dei più amati rappresentanti del nuovo cinema francese (e non solo) fin da The Dreamers di Bernardo Bertolucci, si ritaglia il ruolo del giornalista tormentato, con un look da “mi sono appena svegliato. E sì, appena sceso dal letto ho questo aspetto”.
Dopo tre anni insieme, la fidanzata Marianne (Casta) gli confessa 1) di essere incinta del suo miglior amico Paul, 2) che lascerà Abel (Garrel) e 3) che sposerà Paul. Lui reagisce in maniera composta, perché nel meraviglioso mondo di Garrel ci si ama e ci si lascia senza clamore, quasi sottovoce. Taglio: nove anni dopo Paul muore, Abel va al suo funerale e incontra Marianne. Il tutto quando non sono passati nemmeno cinque minuti dall’inizio del film. Poi i due si rimettono insieme, ma devono vedersela con il figlio di lei, convinto che la madre abbia avvelenato il padre, e con la sorellina ormai cresciuta di Paul, Eve (Depp), da sempre innamorata di Abel. Il punto è che L’uomo fedele dura solo 75 minuti, eppure è densissimo, succedono molte cose, compresa una singolare e inaspettata svolta noir alla Hitchcock. Ok, lo diciamo: viva i film brevi, che vanno dritti al punto, non c’è bisogno di sbrodolare quando si ha una visione chiara.
Tra il racconto perennemente in voice-over, i flashback e la colonna sonora, il film ha lo spirito dell’omaggio alla Nouvelle Vague di cui Louis, figlio di Philippe Garrel, è una sorta di erede contemporaneo, e ha il vibe del Truffaut di Baci rubati, tanto che, nel solco di Antoine Doinel, l’alter ego di Truffaut, Garrel chiama il personaggio ancora una volta Abel, come nella sua opera prima. Se L’uomo fedele ha un difetto è forse la troppa leggerezza, sacrificando un po’ il drama al giocoso. Ma la scrittura è solida e la fotografia splendida, come se Parigi fosse sospesa nel tempo. Se vi serve qualcuno per fare un film ironico e pieno di suspense su un francese figo incastrato tra donne belle ma molto reali, l’enfant terrible del cinema fa al caso vostro.