La cosa affascinante dei Manic Street Preachers è quella di suonare sempre come se fossero proiettati su uno schermo gigante. Volumi alti, panorami sonori enormi, tanta tensione e voglia di comunicare contenuti rock attraverso canzoni che abbiano anche una visibilità pop.
Il loro tredicesimo album, registrato nello studio tutto nuovo che si sono costruiti a Newport dopo anni nel loro Faster Studios di Cardiff e definito dal cantante James Dean Bradfield “ossessivamente melodico” è una conferma della naturalezza con cui i Manic Street Preachers riescano a mettere in piedi architetture gigantesche di suoni, melodie e testi e farle scivolare nei meandri della cultura pop.
Hanno affinato le armi della loro rivoluzione agit-rock permanente e vanno dritti, quasi in automatico, seguendo una tecnica impeccabile, accelerando o rallentando quando serve (dalla splendida power ballad Liverpool Revisited a Hold Me Like a Heaven al quasi metal di Broken Algorithms) senza perdere la tensione cinematografica e la voglia di lottare “contro il suono diluito della musica di oggi”. Una militanza necessaria.