Mannarino – Apriti Cielo | Rolling Stone Italia
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Mannarino – Apriti Cielo

Leggi su Rollingstone.it la recensione di "Apriti Cielo", l'ultimo album di Mannarino

In un antro critico magico senza pregiudizi di sorta, Mannarino avrebbe uno spazio che va ben oltre quello di uno zoccolo duro di fan che da anni ne sostengono il percorso, le gesta poetiche, teatrali e performative. Dico questo per una ragione: Mannarino, semplicemente, è uno bravo, con radici solidissime e un solidissimo modo di scrivere, che afferisce a un immaginario ben delineato, caposseliano, di vino, color bordeaux e velluti da un lato, certo, ma visceralmente popolare e post-folk dall’altro. Ascoltare un disco di Mannarino significa ascoltare un’opera di musica pop che incontra il popolare stretto con una sapienza di suoni e scrittura non consuete. L’album che ascoltiamo oggi non è da meno, nel mix linguistico in cui romano e italiano si incontrano, in cui la parola si muove su melodie classiche dell’immaginario folk-pop, sound a là Ardecore e il consueto mood tra preghiera e rabbia che incontrano la dolcezza (Le rane). La scrittura è spesso grezza (quando parla di radici, di vita vera di sudore non cerca mezze misure liriche), ma sa muoversi su linee intime rare. Se allora, in una nazione che ha perso il piacere delle connessioni tra il folk più terreno e la musica indipendente che tenta di elevarsi a cosa colta, obliqua, sperimentale, anche questo nuovo lavoro faticherà ad arrivare a tutti, resterà un ottimo invito a immaginare le musiche del mondo compresse nel pop italiano senza per questo doversi rappresentare come oscure ma, anzi, rivendicando la propria anima calda e godereccia.

La recensione è stata pubblicata su Rolling Stone di gennaio. Potete leggere l'edizione digitale della rivista, basta cliccare sulle icone che trovi qui sotto.
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In un antro critico magico senza pregiudizi di sorta, Mannarino avrebbe uno spazio che va ben oltre quello di uno zoccolo duro di fan che da anni ne sostengono il percorso, le gesta poetiche, teatrali e performative. Dico questo per una ragione: Mannarino, semplicemente, è uno bravo, con radici solidissime e un solidissimo modo di scrivere, che afferisce a un immaginario ben delineato, caposseliano, di vino, color bordeaux e velluti da un lato, certo, ma visceralmente popolare e post-folk dall’altro. Ascoltare un disco di Mannarino significa ascoltare un’opera di musica pop che incontra il popolare stretto con una sapienza di suoni e scrittura non consuete. L’album che ascoltiamo oggi non è da meno, nel mix linguistico in cui romano e italiano si incontrano, in cui la parola si muove su melodie classiche dell’immaginario folk-pop, sound a là Ardecore e il consueto mood tra preghiera e rabbia che incontrano la dolcezza (Le rane). La scrittura è spesso grezza (quando parla di radici, di vita vera di sudore non cerca mezze misure liriche), ma sa muoversi su linee intime rare. Se allora, in una nazione che ha perso il piacere delle connessioni tra il folk più terreno e la musica indipendente che tenta di elevarsi a cosa colta, obliqua, sperimentale, anche questo nuovo lavoro faticherà ad arrivare a tutti, resterà un ottimo invito a immaginare le musiche del mondo compresse nel pop italiano senza per questo doversi rappresentare come oscure ma, anzi, rivendicando la propria anima calda e godereccia.

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