Quando fu annunciato che Manuel Agnelli sarebbe stato giudice di X Factor, la maggior parte di noi fan, idolatri o devoti degli Afterhours, si è cacata sotto. «E ora che succede? E ma che ci fa lui lì? Ma che si è rincoglionito? Ha la crisi di mezza età. È l’ultimo chiodo sulla bara dell’alternativa italiana», e via discorrendo. Miscredenti! Infedeli! E anche un po’ ipocriti, dato che poi, zitti zitti, ce lo siamo pure guardato X Factor, per vedere che diavolo avrebbe combinato Manuel Agnelli in prima serata e ci siamo pure mezzi divertiti. Per carità, non al punto da voler tornare indietro, ora che quella è solo una parentesi che appartiene al passato. Una parentesi che ha fatto vacillare la nostra fede e ci costringe a chiedere umilmente scusa per aver dubitato di uno dei più grandi musicisti italiani degli ultimi trent’anni. Oddio, nel suo ambito, possiamo anche sbilanciarci: il più grande.
Perché ti pare che X Factor può deviare la sua parabola o sciupare la sua figura? Non è per giustificarci, però ce l’aveva detto lui in uno dei vangeli: «la grandezza della mia morale è proporzionale al mio successo», quindi, a nostra discolpa, potevamo aspettarci di tutto. E invece non è successo niente. Anzi, sono successe solo cose positive: la figura di Manuel Agnelli ne è uscita rafforzata e legittimata (non che ce ne fosse bisogno), mantenendo inalterato il suo spessore artistico e anche il suo ruolo di vate della musica alternativa, è riuscito a imporre il suo valore senza passare per singoli demenziali o altre cazzate simili. Non è stato facile, è stato rischioso, ci sono stati momenti delicati, ma poi, con un sospiro di sollievo, possiamo persino dire che ne è valsa la pena.
Oggi, per esempio, ci sono molti più fan degli Afterhours e questo è solo un bene, senza se e senza ma. Oggi, per esempio, Manuel Agnelli può permettersi – sicuramente più di quanto potesse fare in passato – di intraprendere un tour acustico in giro per i teatri, di riempirli ogni sera con spettacoli mezzi improvvisati, tra vecchi capolavori e cover, intervallati da chiacchierate e aneddoti divertenti che arricchiscono e facilitano il messaggio, che in questi trent’anni è sempre stato lo stesso: per essere davvero bella, per far cantare tante persone insieme, per far riflettere, commuovere o incazzare, la musica non deve essere maltrattata. La musica non deve essere demenziale. La musica non deve essere ridicolizzata. La realtà circostante è complessa e contraddittoria, è violenta, devastante, il più delle volte amara e ingiusta, la musica non può essere da meno. E questo è vero quanto è vero che non di certo più compito di Manuel Agnelli di stare in primissima linea, a cinquant’anni, nella mischia di chi va in controtendenza, nella mischia degli agitatori che spostano il fuoco su qualcosa di un po’ più interessante, di nuovo, che però scarseggiano da queste parti. “Cose semplici e banali per rincoglionirci” no grazie, quindi, senza che questo voglia dire automaticamente che bisogna sempre prendersi sul serio o andarsene in giro imbronciati avvolti in un mantello nero. X Factor è servito anche a questo. Però è servito anche a prendersi un po’ più di libertà. An Evening with Manuel Agnelli è una prova di libertà ed è anche un modo per far ascoltare a tutte le persone che non hanno trovato posto in teatro in quest’ultimo anno, di farsi una cantata o di conoscere meglio gli Afterhours, magari proprio dopo aver visto quel brutto ceffo demoniaco gridare entusiasta «”quattro sì!!!!!” (okay, forse è ancora presto per scherzarci troppo).
Agnelli è accompagnato dal sempre fondamentale Rodrigo D’Erasmo in tutti e undici i brani selezionati, che però possiamo dire che sono un po’ pochi? Sarebbe stato più efficace un bel doppio album lungo con tutte le tantissime cover eseguite dal vivo e magari anche qualche fuori programma (la versione in vinile include le parti parlate, ndr). Ad ogni modo si tratta di un buon compendio sia per chi volesse recuperare la fede tradita, sia per chi vuole essere iniziato, ma anche per chi, semplicemente, ha consumato ogni disco possibile della discografia degli Afterhours e vuole ascoltare le canzoni eseguite in una versione dal vivo, minimale. Ci sono poi, una manciata di cover, messe al posto giusto – bellissima la versione di Video Games di Lana Del Rey, forse la cover più bella se non fosse per la presenza di Perfect Day che ci costringe per obblighi morali a consegnare questo encomio al pezzo di Lou Reed – per alternare i vecchi classici e (ancora una volta, purtroppo pochi) pezzi nuovi, che solo perché sono nuovi non significa per niente che non siano tra i più belli di tutta la discografia della band milanese. C’è tutto un Padania assente che grida vendetta, per esempio. Ma poi insomma chi se ne frega, c’è Padania per chi volesse ascoltare Padania e ci sono gli Afterhours e Manuel Agnelli a piede libero in giro per l’Italia, a salvare il culo alla musica italiana ancora una volta.