Prima che il decimo album solista di Mark Knopfler passi alla storia come l’ennesimo, pigro, ripetitivo more of the same di un dinosauro a fine carriera, bisognerebbe fare alcune considerazioni.
La prima riguarda il suono. Nonostante sia inglese, Knopfler è uno dei maggiori interpreti del suono americano per eccellenza, quel roots rock che ha imparato a maneggiare da autodidatta – «Mi esibivo con la chitarra acustica perché non potevo comprarmi un amplificatore, non ho mai preso lezioni. Suono come un idraulico», ha detto alla presentazione di Down The Road Wherever – e a cui ha dedicato gran parte della sua carriera. 40 anni vissuti come un artigiano, lavorando a tutti i dettagli di un suono rifinito come una scultura antica, immobile nel tempo. Che siano i fraseggi barocchi su Back On the Dance Floor, il blues aspro di Just A Boy Away From Home o l’acustica di Matchstick Man, la chitarra di Mark Knopfler è sempre al servizio della canzone.
A questa perfezione Knopfler è arrivato con pazienza, migliorandosi una canzone per volta, come dice in One Song At A Time, il brano da cui arriva il titolo dell’album. “And I’ll be out of this place / And down the road wherever / There but for the grace, etcetera / I’ll see you later somewhere down the line / I’ll be picking my way out of here / One song at a time”.
Più che un album, Down The Road Wherever è una raccolta di storie di frontiera, di padri e figli, di cacciatori e contadini, di ricordi e lunghe attese. E qui entra in gioco la seconda considerazione: non è rimasto niente dell’epoca di Money For Nothing, se non qualche intreccio di chitarra e sassofono e qualche concessione a ritmi più movimentati (la già citata Back On the Dance Floor, poi Good On You Son e Heavy Up, sicuramente tra i momenti più riusciti di tutto il disco). Knopfler non è una rockstar, e nemmeno un virtuoso della chitarra: è un cantastorie vagabondo “con una vecchia valigia” e che fa l’autostop anche il giorno di Natale, come canta in Matchstick Man, non a caso l’ultimo brano in scaletta.
Sì, Down The Road Wherever è l’ennesimo, ripetitivo more of the same di un nonno del rock. È un album troppo lungo, un po’ mieloso e che tutto sommato non aggiunge granché alla gigantesca carriera del suo autore. Allo stesso tempo, però, è la testimonianza di un modo di scrivere, anzi di essere musicisti, che sembra sempre più lontano, e che Mark Knopfler protegge come un custode.