Chiede scusa, Marracash. Scusa, se il suo rap è peso, e se dà al rap un po’ di peso (in 20 Anni, pezzo manifesto del nuovo album). Scuse da rapper malandrino (“Sono un leader, non sono un boss”, canta in Vendetta), consapevole di essere il numero uno in Italia, il primo a fare auto fiction – mica ego trip – credibile con l’hip hop, abbandonando la post-ironia dei suoi colleghi e restituendo le rime al racconto generazionale (del disagio, in primis), lontano da social e tv, vicino al Blasco da cui eredita un pubblico crossover alla ricerca di un’identità e di uno specchio dei propri casini.
Perché Marra sa già di esserci ancora quando si abbasserà il grado alcolico del rap, dopo la grande sbronza da primo posto in classifica, e Status ne è la prova: grande lavoro di ricerca e innovazione sui beat delle basi, rime non banali e con metriche ben poco convenzionali. E soprattutto una sensibilità pop capace di far convivere Tiziano Ferro – Drake nostrano in Senza un Posto nel Mondo – e la promessa Achille Lauro, l’Old Dirty Bastard del collettivo Roccia Music di cui Marra è il capo.
Quando parla di dare al rap un peso, il rapper in questione intende prendere seriamente la faccenda, e basta. Non vuole essere né un maître à penser né un ribelle di professione. Solo un musicista ispirato e di peso, appunto. E con Status ha dimostrato di esserlo. Nota a margine non richiesta: nel disco di Marracash ci sono pure rime discutibili, pensieri retorici o non condivisibili, ma chi dal rap vuole un saggio di sociologia o una summa morale, allora è chiaro: non vuole il rap.