Nella primissima scena di Marseille, quella montagna d’uomo che è Gerard Depardieu appare da solo, di spalle, immerso nella penombra. Si trova in una stanza privata dello stadio Vélodrome, casa dell’Olympique Marsiglia. Una bella tirata di coca, ed è pronto per entrare in scena. “Buongiorno, signor sindaco”, lo saluta qualcuno. Depardieu è Robert Taro, potente primo cittadino della città portuale francese. Con lui il suo fidato vice, l’affabile Lucas Barres (Benoît Magimel), più giovane ed erede designato. Taro emerge in mezzo alla folla dello stadio gremito. Si guarda intorno, visibilmente soddisfatto. Sospira. “Sono già passati vent’anni”, dice tra sé. “Cazzo, quanto amo questa città”. Inizia così la prima serie Netflix realizzata in Francia, una grande e ambiziosa produzione di cinema seriale che si presenta come un racconto impacchettato per soddisfare i gusti globali, a partire proprio dagli Stati Uniti, ormai affamati di ambientazioni esotiche (e per questo scopo, il Mediterraneo è perfetto). Nonostante l’apparente idillio tra il sanguigno Taro e il mèchato Barres, la trama ruota attorno al tradimento e alla spietata guerra di successione tra i due politici, incarnazione di vecchi e nuovi interessi economici e criminali e dello scontro tra passato e presente.
Si è parlato molto di Marseille come di una sorta di House of Cards francese, ma forse il riferimento più calzante è Boss, sottovalutata serie americana (cancellata dopo sole due stagioni) con un colossale Kelsey Grammer nei panni di un sindaco di Chicago in declino e senza scrupoli. La scrittura e la regia appaiono piuttosto di maniera, ma tutto si muove consapevolmente dentro quella grammatica di intrighi e colpi di scena che ci tiene avvinti ormai da parecchi anni. Non si vede per quale motivo dovremmo iniziare a ribellarci proprio adesso.