I Metz sono musica per demolizioni. Un power trio con chitarre abrasive e parti vocali isteriche, lanciato dalla Sub Pop – insomma, non c’è scampo, quando se ne parla prima o poi bisogna citare i Nirvana.
Il secondo album dei tre canadesi è una raffica di sberle fin da quella Acetate che apre l’album con un basso distorto in sette ottavi che fa tanto muovere la testa (eccola, qui sotto).
È un disco più diretto (era possibile? sì) del debutto del 2012, eppure in diversi punti più orecchiabile (I.O.U. e Wait in Line hanno dei bei ritornelli punk, Spit You Out per un minuto potrebbe essere una canzone dei Verdena). C’è un’aria anni ’90, ma non per moda o gusto del revival. Viene fuori così, fresca, spontanea, come da una risorgiva. È un prodotto da servire preferibilmente live.
A parte pezzi espansi come Kicking a Can of Worms (buon appetito), i Metz suonano come se gli avessero detto: «Avete mezz’ora, fateci stare tutto». Se li ascoltate con le cuffie, attenti a non urlare.