Non traggano in inganno le foto promozionali in bianco e nero contrastato viste in giro: il canadese è ancora uomo di sfumature e slanci. Capace di esprimere, senza imbarazzi, la vulnerabilità a fior di pelle della “Trilogia Oscura” (in primis, nell’incredibile Tonight is the Night) quanto la schiettezza compositiva che l’ha posto tra gli snodi storici culminati nel punk e, più tardi, tra i padrini dell’alternative: “Last night I dreamed I kissed Neil Young”, cantava Kim Gordon, mentre Kurt Cobain lo cita nella missiva di commiato al mondo. Neil Young è un maratoneta dell’autenticità. Ha attraversato i decenni che ci separano dagli esordi perfezionando, tassello dopo tassello, un rock spigoloso con un cuore folk. Ma è anche uomo dai grandi, a volte strani, entusiasmi: la battaglia per la difesa della qualità sonora, per cui ha fondato Pono, sistema di distribuzione musicale alternativo ad iTunes e dispositivo di riproduzione simile a un Toblerone sul quale ho ascoltato – c’è da ammetterlo, con grande resa acustica – Earth seduto in una scrivania tra i dipendenti della Warner Italia. Ricordiamo anche l’infatuazione per il vocoder con il quale inondò le parti vocali di Trans, tra i dischi più strambi (e meno amati dai fan storici) del nostro. Ecco, questo Earth forse sarà ricordato in maniera simile: live di un centinaio di minuti, contiene un inedito e una selezione dei brani più impegnati del repertorio di Young – celebri le sue prese di posizione contro le multinazionali dell’alimentazione – cui sono stati sovrapposti, in studio, suoni della città e un vasto assortimento di versi di animali. Api, orsi, grilli, mucche che, a tratti, emergono tra le note della band o le sommergono completamente. Il live è più che buono, ma non è questo il punto: sarà un effetto dello scorcio aereo sulla città di Milano fuori dalle finestre, ma c’è qualcosa di toccante in questa generosa ingenuità, nel senso del mondo di questa folle Arca di Noè, generato da un grande talento davvero a fuoco.