Maroon 5, la recensione di 'Jordi' | Rolling Stone Italia
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Nemmeno Stevie Nicks, H.E.R. e Megan Thee Stallion salvano il disco dei Maroon 5

La pesantezza del tempo in cui viviamo s'è presa tutto, persino la musica del gruppo di Adam Levine. Forza, vogliamo più 'Moves Like Jagger' e meno ballate scontate su cuori infranti

Maroon 5

Foto press

La pesantezza del tempo in cui viviamo s’è presa tutto, persino la musica dei Maroon 5. Il tono del settimo album del gruppo di Adam Levine è decisamente elegiaco. “Brindiamo alle persone che abbiamo perduto”, canta Levine in Memories, ballata dolce, tetra e sentita con una melodia presa a prestito dal Canone di Pachelbel. E l’album Jordi prende nome da Jordan Feldstein, amico d’infanzia del cantante e manager della band scomparso nel 2017, poco dopo la pubblicazione di quello che fino a venerdì scorso era l’ultimo album del gruppo, Red Pill Blues.

All’incirca a metà di Jordi c’è Nobody’s Love, un pezzo dolente che Levine si augura «possa offrire alla gente un momento di pace e riflessione» dopo traumi collettivi come il Covid-19 e l’assassinio di George Floyd. Il contenuto? Praticamente inesistente: è il solito pezzo vacuo sulla necessità di mettersi alle spalle una delusione d’amore. Eppure ci sono dell’onestà e del realismo in questa scelta, giacché l’evasione leggera è sempre stato il marchio di fabbrica dei Maroon 5 e perciò da parte loro si tratta di una risposta migliore di un’adesione forzata a #BlackLivesMatter. Persino il remix di Memories con YG e il compianto Nipsey Hussle, il duo dietro a FDT (Fuck Donald Trump), parla di perdita personale e non ha niente a che vedere con la politica.

Tutto il disco ha un tono dimesso. Si va da Lost, un’ode col cuore in mano alla ricerca dell’amore in un mondo di solitudine, alle ariose jam Lovesick e Echo. L’energia che c’è viene dall’impressionante cast di ospiti. Megan Thee Stallion dà un tocco d’eccellenza regale alla notevole Beautiful Mistake; il rapper dello Zimbabwe Bantu alza la posta sul groove vivace e sulle schitarrate di One Light; H.E.R. offre un’interpretazione vocale accattivante in Convince Me Otherwise, un pezzo synth soul anni ’80 che rappresenta il picco dell’album. C’è anche del talento sprecato. Stevie Nicks avrà pure partecipato alla registrazione di Remedy, omaggio al soft rock della California meridionale anni ’70, eppure sembra un’anonima corista, mentre il fantasma di Juice WRLD fluttua vanamente in Can’t Leave You Alone.

In definitiva, questo manca all’album: un altro po’ di divertimento estivo. Nonostante il solito esercito di scrittori e di produttori di serie A non c’è davvero nulla qui in grado di rivaleggiare con una Sugar o una Moves Like Jagger. Un po’ più d’evasione ci sarebbe stata bene. Che stiano cercando di essere leggeri oppure seri o una via di mezzo, i Marion 5 di Jordi ci riescono solo in parte.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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