Nick Murphy un tempo rispondeva al nome d’arte di Chet Faker, pseudonimo con il quale l’australiano ha raggiunto il successo grazie alle collaborazioni assieme a Flume, fino alla definitiva consacrazione nel 2014 con il disco Built on glass, cui hanno fatto seguito premi e riconoscimenti, sold out in tutto il mondo, ospitate in programmi televisivi di rilievo e il nome stampato nella line up di festival del calibro di Coachella e Glastonbury, per usare un francesismo: mica spicci.
In questi cinque anni ha sparso un po’ di singoli e EP, prima di tornare con un vero e proprio album intitolato Run fast sleep naked, per il quale si è preso tutto il tempo necessario, registrandolo a spezzoni nei luoghi più disparati, girando con un kit per un mini-studio portatile, tra New York, Tokyo, Nuova Zelanda e casa di sua nonna, lasciandosi ispirare, tra gli altri, dai saggi del filosofo delle religioni Joseph Campbell, sul ruolo sciamanico dell’artista nella società.
Il risultato è in perfetta continuità con la sua carriera, ovvero quella di un musicista che sa fare tutto e lo sa fare bene, pop, r’n’b, folktronica, indie, soul, elettronica, se c’è da improvvisare un verso hip hop non si tira indietro, scrive testi maturi, ha una voce intensa e profonda, ma anche dei falsetti puliti che ricordano James Blake però con tantissima voglia di vivere in più, è fotogenico e alla moda, con la sua barbetta un po’ hipster, ci manca pure che sappia cucinare bene e che sia un terzino fluidificante instancabile, insomma sembra inappuntabile, al punto che quasi ci si infastidisce o perlomeno ci si chiede, dove sta la magagna?
Innanzitutto c’è da dire che sì, Nick Murphy è molto bravo a fare parecchie cose, ma paga i suoi virtuosismi al caro prezzo di risultare un po’ scolastico e piatto, in altre parole un po’ freddo se non addirittura cinico come un algoritmo programmato sui gusti generici di una generazione di giovani WASP che hanno voglia di ascoltare qualcosa di cool e innocuo. Non che gli unici parametri per valutare un disco stiano soltanto nel tasso di innovazione, nella ricerca, nella sperimentazione o nell’esaltazione degli spigoli che rendono imprevedibile un brano, ma di sicuro anche i tentativi in questa direzione sono deludenti, tipo la lunga coda strumentale di Novocaine and Coca Cola, gli slanci rumoristici di Some people o le spippolate di Believe me. Inoltre, dall’altro lato, a differenza che in passato, manca il singolone dirompente come fu Gold in passato, oggettivamente un pezzo perfetto, cantabile, ballabile e emotivamente coinvolgente.
Tutto questo solo per ribadire che Nick Murphy è bravo, molto, e che Run fast sleep naked è sicuramente un disco di buona qualità, ma che non siamo di fronte né a uno sciamano, né a un genio poliedrico infallibile, che esattamente come molti altri dovrebbe specchiarsi un po’ meno nel suo talento, sporcarsi le mani e alzare l’asticella a costo di rischiare di fallire e di sembrare umano.