Tra i tanti passaggi profetici di quel pozzo di informazioni utili che è il documentario Oasis Supersonic, ce n’è uno particolarmente utile in questa circostanza, quello in cui durante un’intervista televisiva nel 1995 – erano i tempi del licenziamento del primo batterista degli Oasis Tony McCarol – Noel dichiara: «I batteristi sono degli inutili sfigati senza talento. Andrebbero licenziati tutti e sostituiti da una drum machine. Non vedo l’ora di dire che sono in una band dance, premi un bottone e tum-cha tum-cha…».
Difficile dire quanto tutto il disegno fosse chiaro in testa di The Chief, fatto sta che un quarto di secolo dopo, eccolo incredibilmente accontentato con tutti quei sintetizzatori e remix ad allungare il brodo, anche se probabilmente neanche sotto acidi si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi con una forbicista sul palco. Come sappiamo, quest’anno Noel ha deciso di disseminare lungo il suo cammino tre EP separati, una scelta francamente discutibile e dispersiva, che sperpera il potenziale di alcuni brani tutto sommato buoni.
All’uscita del primo capitolo della trilogia, Black Star Dancing, sostenevamo una tesi ancora valida oggi, che è bene sintetizzare: il viaggio cosmico di Noel lo sta portando su una brutta china. È difficile valutare questo nuovo EP intitolato This is the place, senza il riecheggiare dei versi e del sound del secondo disco solista di Liam Gallagher, uscito solo una settimana fa e che alimenta alla perfezione un circo che se non è studiato a tavolino, è senz’altro lasciato crescere spontaneamente, per portare un po’ di attenzione in più sui due storici fratelli rivali. “Hey kid, did you know? Today 16 years ago it was you and I for the last time. C’mon and open your door, after it all you’ll find out you were always one of us” canta esplicitamente Liam, accompagnato da chitarre 100% Oasis, dalla posizione iconica al microfono e da un video che compiange i dieci anni dallo scioglimento della band. Da questa prospettiva dolorosa è chiaro che questo EP non possa far altro che sembrare spazzatura senza arte né parte, in confronto a una reunion degli Oasis, di cui però Noel, è ormai chiaro e assodato, non vuole sentir parlare. Perciò tanto vale uscire da questo inutile dicotomia e tentare di valutare la musica in sé.
Specifico che sono un detrattore del Noel post-Oasis, quindi ha un peso maggiore quando dico che al netto di tutto, questo EP, non è affatto male. Con “al netto di tutto” intendo dire: togli quei cazzo di inutili remix e fa’ uscire un disco unico, se proprio non vuoi rimettere insieme la rock band più influente degli ultimi venticinque anni, dio santo. Era stato annunciato come un EP dal sound mancuniano e in effetti si trovano facilmente reminiscenze dei riverberi degli Smiths e il beat dei Pulp nella title-track This is the place di cui lo stesso titolo è una citazione al poeta mancuniano Tony Walsh.
Proseguendo con l’ascolto però, invece che Manchester, si trovano anche tracce della scena scozzese e di un certo indie pop à la Belle and Sebastian o Camera Obscura in A dream is all you need, che dei tre brani in questione è probabilmente il più bello e che peraltro ricorda tantissimo In the morning dei The Coral, singolone di successo uscito nel lontanissimo 2005, quindi è impossibile non apprezzarlo. Infine Evil Flower, dove entrano in scena gli Stone Roses e gli Happy Mondays. A questo punto, se vogliamo, quei due remix finali possono essere un tributo alla scena acid-house, ma è davvero ridicolo, con tutto il bene, immaginarsi Noel confrontarsi con quella scena.
Perché il discorso è proprio questo, pur trattandosi di tre canzoni carine, nessuno sceglierà di ascoltare Noel Gallagher se ha voglia di ascoltare questo genere di musica, perché esistono decine di musicisti migliori di lui in questo campo. Liam l’ha capito, e infatti non si sposta di una virgola dagli schemi – triti e ritriti – su cui può avere ancora voce in capitolo, Noel invece ha deciso di essere uno qualsiasi.