È spaventoso da morire, tanto per cominciare. Ma Noi, il nuovo ipnotizzante rompicapo dello scrittore-regista-produttore Jordan Peele, si porta dietro il peso di parecchie aspettative. Scappa — Get Out, lo straordinario debutto di Peele dal 2017, è una satira brillante e caustica sulla percezione della razza in America, con cui Peele ha vinto un Oscar come miglior sceneggiatura originale (è il primo afroamericano a trionfare in quella categoria) ed è diventato un fenomeno di critica e pubblico. Può fare meglio di così? Risposta: non può e non lo fa. Nelle interviste, Peele insiste sul fatto che Noi è un vero e proprio horror. Non è esattamente così. Peele traccia una nuova via mettendo una famiglia di colore nel bel mezzo di un film commerciale elettrizzante. È più di una novità, è una rivoluzione silenziosa. E le allusioni di Peele alle più grandi cospirazioni di razza, classe e violenza sociale che si insinuano all’interno del sogno americano risuonano in modo tetro. Rimproverate pure Peele perché cerca di mettere in campo più di quanto possa gestire, ma questo quarantenne di New York che ha iniziato come metà del team comico Key & Peele sta diventando un regista di livello mondiale. Con i suoi difetti, Noi ha il potere di perseguitare i nostri sogni a occhi aperti. Non riuscirete a smettere di parlarne.
Terrorizzati dalla polizia degli spoiler, i critici devono chiudere il becco. O almeno procedere con cautela mentre Peele introduce la famiglia Wilson direttamente nella soleggiata California. La madre Adelaide (Lupita Nyong’o), il padre Gabe (Winston Duke) e i loro due figli — Zora (Shahadi Wright Joseph) e Jason (Evan Alex) — sono in vacanza a Santa Cruz. Gabe è in competizione non dichiarata con i Tyler (Elisabeth Moss e Tim Heidecker), una coppia bianca con due figlie gemelle. Tutti si divertono, specialmente il papà (l’eccellente Duke – che assomiglia molto a Peele — fa ridere nei momenti più improbabili), ma non Adelaide. In un prologo agghiacciante, ambientato nel 1986, vediamo Adelaide bambina dare di matto per una gita in un luna park sulla spiaggia con una sala piena di specchi. Da adulta Adelaide torna con i propri figli su quella stessa spiaggia dove è stata traumatizzata da piccola. Si può tagliare la tensione con il coltello, o con un paio di forbici dorate.
Le forbici occupano un posto di rilievo quando i Wilson si trovano di fronte a visitatori inattesi nel loro vialetto. Dato che la scena è inclusa nel trailer del film, non spoilero nulla scrivendo che questi invasori domestici vestiti di rosso sono esattamente i doppi dei quattro Wilson. E le forbici che questi doppelgänger simili a zombi hanno in mano sono pronte a tagliare gole. “Chi diavolo siete?” chiede Gabe. La risposta viene gracchiata dalla gemella cattiva di Adelaide (l’unica che parla) con una voce da brividi: “Siamo americani”.
Le implicazioni politiche di questa storia terrificante sono stuzzicanti, come lo sono le allusioni del film a Hands Across America — l’evento del 1986 in cui milioni di persone hanno formato una catena umana contro la povertà e la fame — e le migliaia di chilometri di tunnel vuoti che corrono sotto gli Stati Uniti, inclusa la Underground Railroad che simboleggia la schiavitù africana. Peele fa riferimento al Sunken Place dell’era Trump, in cui il nuovo vangelo predica la paura dell’altro? Se è così, il tema rimane troppo sottosviluppato. Eppure Peele, supremo stylist del cinema, è inarrestabile. La violenza è snervante quando i doppi vogliono slegarsi dalle loro controparti umane. Per necessità i Wilson diventano una famiglia che uccide insieme. Persino i Tyler vengono invasi. Complimenti a Elizabeth Moss, che prende un ruolo secondario e ci va a nozze. La scena in cui il suo doppio dagli occhi selvaggi si spalma il lucidalabbra è una miscela indimenticabile di gioia e minaccia.
Tutti gli apprezzamenti possibili per la recitazione però vanno a Lupita Nyong’o, che in realtà interpreta due ruoli, quello di madre protettrice e quelli di predatrice. È superba in entrambe le versioni. E ciò che fa con la voce nei panni del doppio di Adelaide è impossibile da scrollarsi di dosso. Nyong’o, già vincitrice di un Oscar per 12 anni schiavo, dovrebbe essere nominata di nuovo per una delle più grandi performance nella storia dell’horror, lì tra Sissy Spacek in Carrie e Jack Nicholson in Shining.
In Noi Peele, un accanito fanatico dell’horror, fa cenno a quei film e a molti altri, tra cui L’invasione degli ultracorpi, Lo squalo e Thriller di Michael Jackson. Eppure lo stile è completamente suo, tanto sicuro quanto ambizioso. Con l’aiuto del direttore della fotografia Mike Gioulakis (It Follows) e la colonna sonora del compositore di Scappa — Get Out Michael Abels, pensata per fare a pezzi i nostri nervi, il film non rallenta mai. Nel mix ci sono l’inno dei Beach Boys Good Vibrations e I Got 5 On It del duo hip-hop Luniz. Non potrete mai più ascoltare quelle canzoni nello stesso modo.
Ci sono momenti in cui Noi sembra un episodio speciale di The Twilight Zone, la serie tv anni ’50 tornata di recente con nuovi episodi narrati dallo stesso Peele in modalità Rod Serling. Ma Peele non può fare a meno di andare più in alto e a fondo. Il percorso contorto su cui ci guida si apre a molte interpretazioni. Ci sono volte in cui il film ci attanaglia con un terrore allucinato, che potrebbe essere un altro degli incubi indotti dal disturbo da stress post-traumatico di Adelaide. E forse è così. O forse è un orribile riflesso del modo in cui viviamo. Peele usa una citazione biblica di Geremia 11:11, che suggerisce come Dio ci abbia voltato le spalle. Senza dubbio Peele sfrutta il genere più spaventoso per mostrarci un mondo tragicamente slegato dalla sua stessa umanità, dalla sua empatia, dalla sua anima. Se questo non è un film dell’orrore perfetto per il suo tempo, non so cos’altro possa essere.