La canzone più personale dell’album di Norah Jones è una cover, la profonda Don’t Be Denied di Neil Young. Jones la fa rivivere ad Anchorage, Alaska, al posto di Winnipeg, la gira in terza persona e traduce l’arrangiamento di chitarra in una versione piano e ottoni. Il risultato è ugualmente dark. “The punches came fast and hard”, canta con un lamento, “lyin’ on her back in the schoolyard”. Norah Jones torna alle sue radici jazz. Un ottimo e puntuale consolidamento. I compagni di band, Wayne Shorter e Brian Blade, hanno lavorato con Joni Mitchell, un chiaro punto di riferimento. Il piano è straordinariamente ampio e le canzoni hanno eco rivelatrici – c’è un po’ di Moondance di Van Morrison dentro It’s a Wonderful Time for Love. Gli standard jazz presenti su Day Breaks sono in realtà degli strumentali: Peace di Horace Silver del 1959, ripresa dal suo EP First Sessions, e Fleurette Africaine di Duke Ellington. Norah Jones vocalizza e gorgheggia gioiosamente tra il passato e il suo inimitabile presente.
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