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Paul Weller – The Saturns Pattern

All’alba degli anni ’80, un secolo fa, due inglesi svelarono il sistema dei segni che aveva retto fino a quel momento le cosiddette “culture giovanili”: certo la musica, ma anche scarpe, tagli di capelli e più in generale stile. Il sociologo ventenne Dick Hebdige – Università di Birmingham, letture preferite Roland Barthes e Antonio Gramsci […]
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All’alba degli anni ’80, un secolo fa, due inglesi svelarono il sistema dei segni che aveva retto fino a quel momento le cosiddette “culture giovanili”: certo la musica, ma anche scarpe, tagli di capelli e più in generale stile. Il sociologo ventenne Dick Hebdige – Università di Birmingham, letture preferite Roland Barthes e Antonio Gramsci – pubblicò nel 1979 il volume Subculture, spiegando che i mod, gli skinhead, i punk facevano “resistenza attraverso lo stile”.

Contemporaneamente Paul Weller con i Jam lo metteva in pratica, smontando e rimettendo in scena il codice originale dei mod anni ’60: musica, capelli, scarpe, giacche, eccetera eccetera. Nello stesso anno dell’uscita di Subculture, l’anno dell’elezione della Thatcher, i Jam andarono primi in classifica con Going Underground, un manifesto della nuova resistenza: “La gente prende quello che gli dai / ma io non voglio niente che appartenga a questa società / me ne vado sottoterra”. Dick Hebdige oggi insegna Cultural Studies all’Università di Santa Barbara, lontano dai furori teorici di un tempo. Paul Weller ha pubblicato il suo 12esimo album Saturn’s Pattern. Ha 56 anni e 7 figli da 4 mogli, un taglio di capelli discutibile che cita precisamente il Bowie hippy-mod del ’68/’69, probabilmente un armadio (forse due) di giubbotti Levi’s bianchi e altre innocenti perversioni da hipster di una certà età. Non ha mai abbandonato la vena da semiologo di strada. Il suo sistema di segni ruota ossessivamente intorno alle musiche e alle immagini di 10 anni che secondo lui contano davvero: ’65-’75. Questa è la sua stanza dei giochi, e la frequenta con la pazienza dei bambini bricoleur, che ogni volta svuotano le vecchie scatole perché ciò che era vecchio nel frattempo potrebbe essere tornato nuovo, e viceversa.

Leggi la nostra intervista a Paul Weller

Prendi White Sky, la canzone che apre il disco. Salta i 30 secondi di introduzione suonati al contrario tipo Beatles quando i registratori andavano a nastro. Ascolta la frase del chitarrone hard rock che regge il pezzo. E conta fino a quaranta volte quattro prima di parlare, perché Paul Weller non sta strizzando l’occhio ai fan dei Black Keys e dei White Stripes, ma traduce con filologia certosina gli Humble Pie del suo mito Steve Marriott, anno 1970. Vai su YouTube adesso, su Wikipedia, vai dove vuoi. E quando torni metti su Phoenix, che incidentalmente sembrano gli Style Council, ma invece sono i Caravan, progressive-jazz minore da scuola di Canterbury, ultima riscoperta di questa specie di archeologia neomod inglese, al punto che i superstiti di quel gruppo sono ancora in giro a suonare. E se ascolti Pick It Up non dimenticare di riascoltare subito dopo Ogdens’ Nut Gone Flake degli Small Faces, e se ancora ti resta un po’ di tempo la discografia completa dei Traffic.


Paul Weller – White Sky Rehearsal Footage on MUZU.TV.

Perché saranno almeno vent’anni che il Modfather gioca con gli stessi elementi: il mod-progressive-hippy dei primi anni ’70, che è uno dei momenti più oscuri (e più inglesi, più decadenti, meno consumabili) della storia della musica popolare britannica. Dentro ci stanno Bowie e i Traffic, il primo Joe Cocker, il folk-rock e la scuola di Canterbury. E sta tutto in Rete adesso, a portata di mano. Sappi, però, che dentro le scatole dei giochi c’è una cosa che non troverai: la chiarezza anfetaminica che i mod originali usavano per spaccare il capello in quattro, per essere davvero Ace, Spade (i mod, tra loro, non si chiamavano mod), insomma underground rispetto alla volgarità dei loro contemporanei. Quella no, in Rete non si trova.

La nostalgia è nelle cose per chi ha ancora un esercito di fan attorno ai 60. Amen. Fa il paio con la pacifica consapevolezza che Weller, ultimo cantore dell’età dell’oro della cultura popolare inglese, può fare il cavolo che gli pare. Amen. Ha seppellito la Thatcher e ha seppellito Blair. Ha seppellito il Britpop, troppo volgare. In questo disco battezza soltanto un gruppetto di Canterbury, i Syd Arthur, come suoi collaboratori e promettenti allievi. Non saranno Noel Gallagher, ma Gallagher adesso è molto più vecchio di Paul Weller, quindi va bene così.

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