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Perry Farrell non ha ancora voglia di andare in pensione

Con "Kind Heaven" il leader dei Jane's Addiction ha giocato sul sicuro, riempiendo il disco solista di nomi importanti e produzioni solide. Ma la storia della musica rimane altrove
2.5 / 5

Sarebbe bello concludere la pratica come il collega Stefano Bianchi quando recensì la reunion dei Jane’s Addiction nel 2003 “Poteva andare peggio. (5) Stefano I. Bianchi”. Laconica recensione che centrava appieno un album che rappresenta a tutt’oggi l’evoluzione meno riuscita della discografia del quartetto losangelino. Per questo Kind Heaven di Perry Farrell che, se siete nati troppo tardi o venite dalla Luna, dei Jane’s Addiction fu il cantante/leader carismatico, invece le cose sono un po’ diverse. Le analisi interpretative possono essere almeno due.

Una buona e una pessima, neanche a dirlo. Quella buona è che Perry a sessant’anni di starsene buono buonino non ne ha affatto voglia. Allora, ancora prima del disco, colui che fu il fondatore del famoso festival musicale Lollapalooza, si è inventato una vera e propria esperienza multi-sensoriale dal costo di (non di tasca sua, in verità, visto che le partnership per realizzarla sono una dozzina e comprendono anche colossi come la Fox e la ABC) 90 milioni di dollari: “Kind Heaven”. Il centro aprirà il prossimo anno sulla Sunset Strip di LA con la promessa di “rinnovare” il mondo dell’intrattenimento combinando la tecnologia indossabile della realtà virtuale con la narrazione in stile hollywoodiano; per portare il pubblico in un mondo in cui sperimentare cultura, arte, musica e cibo del sud-est asiatico e nello specifico della Thailandia, del Vietnam, del Nepal e di Hong Kong. Fisicamente e di persona. Per ricreare a tutti gli effetti i miti, i personaggi, le icone e soprattutto la geografia del luogo, Farrell si è affidato al guru de Le Cronache di Narnia, Cary Granat.

Il disco che ne prende il titolo, al netto degli ospiti speciali che han contribuito a realizzarlo, tra cui spiccano Taylor Hawkins dei Foo Fighters, il tastierista di David Bowie Matt Garson, Matt Chamberlin dei Soundgarden, Chris Chaney dei Jane’s Addiction e Elliot Easton dei The Cars, di questa genialata è solo una sorta di soundtrack. Come suona? Grazie al buon dio di etnico non ha assolutamente nulla. Quindi se fino ad adesso vi eravate fatti la bocca di trovarci dentro sitar o strumenti tradizionali, potete pure smettere di leggere qua. Kind Heaven è un mix tra il sound canonico della band di appartenenza (Pirate Punk Politician) e svirgolate dal vago sapore swing che una persona a caso potrebbe immaginarsi (appunto) in un Casinò a caso di Las Vegas (Cheerfulness, Snakes Have Many Hips), con contorno di heavy rock d’antan (Machine Girl), funky tutto fuorché incandescente (One) e la classica ballad con tanto di quartetto d’archi a seguito per chi se l’aspettava fin dall’inizio (More Than I Could Bear, un po’ Led Zeppelin e un po’ hair-metal in tutta franchezza).

È un brutto disco? Non direi. Quale sarà il giudizio che si maturerà nel tempo su questo ambizioso progetto, eviterei comunque con cura di affermare che Farrell abbia prudentemente (o pavidamente) giocato sul sicuro, creando una sorta di “Best Of” della produzione passata, in gruppo e da solista. Al contrario, l’incontenibile Perry estrae dal cilindro spunti e idee anche disparati (l’elettro-tribale Where Have You Been All My Life e l’elettro-e-basta Spend The Body), riuscendo a conferire un senso di omogeneità a episodi invero molto diversi tra loro. Come in un concept che si rispetti. La nota dolente, se mai, è un altra.

La sindrome del cantautore oramai entrato nella fase calante della propria vita, oltre che carriera, Perry Farrell ricorda a suo modo l’ex-Van Halen David Lee Roth, mitomane e un po’ patetico, di Skycraper. Quello che, per chi non se lo ricordasse, per presentare il disco nel 1988 strinse un patto col negozio Tower Records su Sunset Strip e, grazie all’assistenza di tecnici professionisti e delle strutture scenografiche prese in prestito da Disneyland, volle riprodurre sul tetto del negozio la cima della montagna della copertina del disco. Ne venne fuori una montagna a tutti gli effetti, alta quasi dieci metri, con venti ragazze in appariscenti costumi da bagno ed elmetti. Sotto, una banda di majorette si esibiva scortando lui e il gruppo per diversi isolati fino al palco montato nel parcheggio antistante al negozio, dove si esibì di fronte a un pubblico radunato all’istante. Forse il massimo successo ottenuto da un disco che poco o nulla aveva dei fasti e del genio compositivo del passato. Allo stesso modo Kind Heaven sembra più un lascito per i posteri, qualcosa che, non ora e non qui, farà parlare di sé e servirà per creare un box di spalla a tutte le future monografie dedicate a Perry Farrell e ai Jane’s Addiction. Come la bara dei Kiss per l’uscita di Psycho Circus, la crociera dei Motley Crue per l’uscita di Saints Of Los Angeles o tutto ciò che prima vi viene in mente di siffatta natura. Tutto molto bello, e divertente certo, la storia della musica però resta comunque altrove.

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