Dopo averci raccontato i rapporti tra mafia e la Dc in La mafia uccide solo d’estate, Pif ci spiega nel suo secondo film, In guerra per amore, quasi un prequel del primo, come il patto segreto tra l’esercito americano e i capi mafiosi legati a Lucky Luciano durante lo sbarco alleato in Sicilia durante la Seconda Guerra Mondiale abbia finito per spingere l’isola nelle mani della mafia. Anche qui, una piccola vicenda umana, un’ossessione sentimentale, servono a Pif per raccontare in maniera ironica, ma chiara, una storia più grande.
Pif ha un suo stile, molto originale, di trattare temi della storia siciliana del ’900, che ci rimanda alla commedia all’italiana “educativa” di Luigi Zampa o di Scola-Maccari. Il giovane Arturo, italiano a New York, per non perdere la bella Flora, Miriam Leone, promessa dallo zio al figlio di un boss, si arruola nell’esercito americano pronto a partire per la Sicilia. Potrà così chiedere la mano di Flora direttamente al padre di lei, che vive in un paesino sperduto siciliano. Per impedire tutto questo, il perfido boss chiede agli amici siciliani di eliminare Arturo. Morto più, morto meno, durante una guerra…
Quello di Pif è un cinema molto libero, inventivo, che non ha paura di scivolare nel ridicolo o nel grottesco. Lo sbarco degli americani, l’elicottero che depone Arturo a cavallo di un asino nel paesino, Lucky Luciano. La cosa più incredibile non è solo che credi a quel che ti racconta, è che ogni scena, anche la più assurda, diventa plausibile proprio perché la racconta a modo suo. Se la cornice, coi mafiosi e gli americani, è la cosa più spassosa, mentre l’intreccio ha qualche scivolamento nel Benigni drammatico-poetico, il desiderio di Pif di riscrivere la storia della Sicilia è non solo grandioso, ma riuscito. La sua favola grottesca funziona come se fosse un film di Rosi. E finiamo per perdonargli pure i troppi ringraziamenti veltroniani.