La carriera di Pop X non ha una direzione: lo sapevamo, e ora ne abbiamo l’ennesima conferma. È un percorso che rifiuta ogni logica sindacale, compromesso, pianificazione e qualsiasi altra forma di vaga stabilità che renda l’arte del collettivo trentino un minimo – diciamo – “normale”. Improvvisa, delira. L’opportunità di una svolta “pop” è bella che trapassata con Lesbianitij, anno domini 2016: lì il progetto di Davide Panizza e soci sembrava destinato alle larghe intese, fra l’indie e l’itpop, l’elettronica e il cazzeggio, il demenziale e il dada. E sembrava, soprattutto, al punto di costruirci un impero, su quell’immaginario di volgarità, vocoder, coretti, “froci persi” e “drogate schifose”. Una gallina dalle uova d’oro, no?
Invece, il successivo Musica per noi (2018) ha sterzato su una dimensione più enigmatica e complessa dell’elettro-pop, quasi introversa nelle sue tarantelle. Panizza-centrica, sicuramente: settata su tempi e viaggi mentali del leader del progetto, e quindi selvaggia e sostanzialmente incomprensibile se non all’autore. Ma libera: l’unica coerenza, da un anno a questa parte, è tagliare ponti col passato, sperimentare e cazzeggiare. Anche il nuovo delirio della banda, Notihng Hill, non poteva che nascere quindi sotto questa stella: tagliare ponti, sperimentare e cazzeggiare.
Visto come siamo abituati a concepire le uscite nel mercato discografico, a chi ha seguito la lavorazione dell’album su Instagram, tramite il profilo di Pop X, è sembrato di assistere a un qualcosa di surreale: un disco pubblicato a solo un anno dal precedente, annunciato a sorpresa, senza una data certa fino alla settimana scorsa e (almeno apparentemente) ancora in mixaggio fino a tipo l’altro ieri. Al di là di quanto la realtà si distacchi da un’eventuale (e improbabile) strategia di comunicazione, l’impressione è che sia stato davvero un canzoniere partorito in preda a una febbre creativa, con Bomba Dischi che – come sempre, del resto – ha lasciato libero sfogo a un’enorme allucinazione.
Un’allucinazione che ha portato la banda sui lidi inediti e desertici di uno psycho-reggae mischiato con la tendenza del momento, e cioè la latina e – nello specifico – il reggaeton. Non è la prima volta che Pop X ruba ciò va in voga, e non sarà l’ultima: la macchina, è chiaro, si nutre anche così e stavolta è toccato al Sud America. Il risultato è lo stesso pastiche della copertina, con grotteschi Bob Marley, sfondi à la LSD, sguardi persi e fotomontaggi livello Paint.
Così, fra tributi-dada alla Giamaica (No, womano cry), il reggaeton destrutturato di Maniaco sexual coi soliti ammiccamenti, il tropicalismo drogato di Ciambaumba e le boutade a effetto ritardato (Now), il disco viaggia silenzioso e apparentemente incomprensibile, divertito prima che divertente, per poi schiudersi in una sorta di risposta storica e malata a J Balvin a compagnia danzante. Ma dentro, alla fine, rimane soprattutto lo sfogo creativo e personale di Panizza, con sintetizzatori ossessivi e percussioni che non guardano in faccia nessuno (fan in primis, ma anche critici e dibattiti), là dove il vocoder si divora il resto e il cantato preferisce inglese e spagnolo scolastici all’italiano (altra novità).
A conti fatti, un’altra tabula rasa, l’ennesimo punto sulla cartina dei generi esplorati dal collettivo. Le atmosfere festose di Secchio e Frocidellanike sono lontane anni luce, insieme all’immediatezza, alla demenzialità e alle tarantelle: ora c’è un intimismo libero ed enigmatico, latino, talmente casuale che le interpretazioni sul Pop X genio o meno non hanno neanche più senso, visto che lui, in primis, sembra disinteressarsene. Piuttosto il nostro se ne sta per fatti suoi a produrre musica come un punk d’altri tempi, secondo uno stile e un mood che non hanno paragoni in Italia. Insomma, la gallina dalle uova d’oro è stata imbottita di acidi, e a noi va bene così.