Dopo aver lasciato gli One Direction, Harry Styles ha fatto di tutto per dimostrare d’essere ambizioso e dotato del giusto bagaglio di conoscenze musicali. Il primo singolo da solista, nel 2017, è stata una ballata enorme, nello stile di Bowie o dei Queen: Sign of the Times. Altri artisti nella sua posizione sarebbero stati considerati insicuri o presuntuosi. Styles s’è invece calato con naturalezza nel ruolo della megastar gender e genre fluid, un gentleman del rock che passa dalle chitarre distorte al soul e scrive versi come: “So che hai paura perché sono un tipo aperto”. È un Mick Jagger per un’epoca, la nostra, più illuminata.
Col terzo album Harry’s House, in uscita questo venerdì, Styles piazza un altro bel colpo. Fa musica più elegante e raffinata, mantenendo una sensazione di calore e intimità. È musica levigata come quella degli Steely Dan e ha la generosità di un disco di Al Green o degli Yo La Tengo. Harry’s House è pieno di sintetizzatori e fiati, e spesso suona come un mix tra synth pop e R&B. Ascoltandolo, ci si aspetta che nei crediti spuntino i nomi di Greg Phillinganes e Rod Temperton al fianco di quelli degli storici collaboratori Kid Harpoon e Tyler Johnson.
L’album si apre con un pezzo splendido che parla di un appuntamento, Music for a Sushi Restaurant. In un’atmosfera euforica degna di Prince, Styles canta di occhi verdi, riso fritto, gelato e gomma da masticare arrotolata sulla lingua. Late Night Talking è un ottimo studio sul suono dei primi anni ’80, con Styles che promette teneramente di “seguirti in ogni luogo, che sia Hollywood o Bishopsgate”.
Gran parte degli artisti che cercano di replicare il suono degli anni ’80 finiscono per mimare la freddezza e il distacco da cocainomani tipico della new wave. E sì, anche Styles dice di “farsi di coca in cucina” nel synth pop di Daylight, ma è una canzone dolce, mai inquietante, con un testo sui giri in bici per New York in cui il cantante si paragona a un uccellino pronto a raggiungervi ovunque voi siate. In pezzi come Keep Driving e Grapejuice, invece, i groove ariosi permettono a Styles di esplorare un’idea di desiderio che ha a che fare con l’apertura verso gli altri e la vulnerabilità.
Il titolo del disco viene dall’album di Joni Mitchell del 1975 The Hissing of Summer Lawns. Ed effettivamente a un certo punto Styles esce dalla pista da ballo e si abbandona all’amore per Laurel Canyon con ballate come la languida Little Freak, dove sottolinea il suo “punto di vista delicato”, e Matilda, in cui aiuta la protagonista a superare le contraddizioni tipiche nell’età adulta. Ecco, in questi momenti Styles diventa quasi l’amante e amico che meritava la Joni di Blue, il tipo di uomo che non riusciva a trovare perché negli anni ’70 non avevamo ancora capito come evitare di essere degli stronzi.
In tutto il disco Styles canta in stile colloquiale e trasforma le storie d’amore in un dialogo tra pari che è pieno ora di speranza e ora di fragilità. Ha senso che Harry’s House esca mentre torniamo a goderci il caldo e le serate fuori casa. Questo disco è una brezza estiva.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.