Circa quattro minuti dopo l’inizio del suo show a Broadway, Bruce Springsteen ha smesso di suonare la canzone d’apertura, Growin’ Up. Si è girato verso il pubblico, la sua voce non era amplificata, e ha detto: «Non ho mai fatto un lavoro onesto in tutta la mia vita». Praticamente urlava, «Non ho mai fatto orario d’ufficio. Non ho mai fatto lavori duri, eppure ne ho scritto tutta la vita».
Con Born to Run, la biografia con cui ha auto-distrutto il suo mito, ha mostrato ai lettori il suo lato vulnerabile, la complessità dietro al suo personaggio gigantesco. Springsteen on Broadway è, in un certo senso, la versione teatrale del libro.
È chiaro fin da subito che non avrei visto un normale concerto di Springsteen, dove suona un’infinità di canzoni senza dire praticamente nulla. Non c’è spazio per il suo atletismo – si muove nel poco spazio che c’è tra il pianoforte e il microfono al centro del palco – e l’intensità è tutta emotiva, soprattutto quando racconta la sua infanzia, il rapporto con la religione, con il lavoro e con la morte. La performance è fuori categoria. Non è un concerto; non è un one man show e di certo non è uno show di Broadway. È uno degli spettacoli più profondi e affascinanti mai messi in scena da una rockstar.
E metterlo in scena non è una cosa che si può improvvisare da un giorno all’altro. Negli anni ’70 e nei primi ’80 Springsteen era abituato a raccontare lunghe storie sul palco, aneddoti che duravano fino a 10 minuti. Nel 1990 ha suonato il suo primo concerto acustico a Los Angeles, presentando versioni minimali dei suoi pezzi e raccontando i momenti più difficili della sua storia. È il suo bootleg più raro e amato dai fan.
Nei concerti acustici, però, le hit non erano mai in scaletta: a Broadway, invece, il Boss le ha usate per raccontare la sua storia. Thunder Road prende nuova vita con il racconto della notte in cui gli amici di sempre di Freehold sono scappati insieme a lui verso Asbury Park. «La brezza dell’oceano era come un richiamo», racconta. «Ho guardato i rami degli alberi muoversi sopra di me, sopra di loro le stelle illuminavano la notte e mi ricordo di essermi sentito davvero felice».
E lo stesso è successo con The Promised Land, la storia della fuga in macchina con il suo primo manager, una corsa di 3 giorni per riuscire a suonare a San Francisco per il Capodanno del 1969. Prima dell’ultima strofa il Boss si è allontanato dal microfono e ha regalato al pubblico un momento indimenticabile: Bruce Springsteen che canta a pochi metri di distanza, senza filtri.
Non sarà il nuovo attesissimo album, ma ‘Springsteen on Broadway’ è un trionfo intimista
Per chi lo conosce e lo segue da decenni la mancanza di spontaneità dello show potrà sembrare un po’ fuori luogo, soprattutto quando ci si accorge che tutti i racconti sono letti da un gobbo elettronico sospeso sopra il pubblico. Ma vederlo suonare così da vicino è un’esperienza catartica: ogni sezione dello show è pensata per il massimo impatto emotivo, per raccontare la storia della sua vita e le sue riflessioni sulla mortalità.
Non c’è intervallo, ma lo spettacolo è idealmente diviso in due parti: la prima è dedicata alla sua infanzia e alla fuga verso Asbury Park, la seconda ha un approccio più tematico e meno cronologico. Con Born in the U.S.A. ricorda a tutti che la sua è una canzone di protesta; con Tenth Avenue Freeze-Out racconta gli amici della E Street band, soprattutto lo scomparso Clarence Clemons: «Clarence era una forza della natura, porto la sua storia sul palco tutte le sere, è sempre con me».
Poi arriva Patti Scialfa, che duetta con il marito in Brilliant Disguise e Tougher Than the Rest: raccontano la storia di quella notte dell’84 in cui si sono incontrati, e Bruce accenna piccoli estratti dalle canzoni che lei suonava quella sera. «La prima frase che le ho sentito cantare era “I know something about love”, ed è vero, ne sa parecchio».
Springsteen ha detto più volte che non avrebbe parlato di Trump, ma non poteva lasciare il palco senza dire la sua su cosa è adesso l’America. «Oggi vediamo ragazzini per strada, vestiti di bianco e con le torce in mano. Mi ricordano i peggiori fantasmi del nostro passato», ha detto. «I tuoi vicini sembrano stranieri. Martin Luther King ha detto che l’universo tende spontaneamente verso la giustizia; penso che avesse ragione. Quello che vediamo oggi è solo un brutto capitolo della battaglia per l’anima della nostra nazione».
I fan più esigenti si lamentano spesso della mancanza di uscite degli ultimi 5 anni. Springsteen on Broadway, però, è a modo suo qualcosa di completamente di nuovo, una conquista. È la storia di un uomo di 70 anni che si confronta con il suo passato in un modo unico. È impossibile, però, ignorare l’attesa per il suo prossimo album, per leggere i nuovi capitoli della singolare storia della sua vita.