Replacements, la recensione di 'Pleased to Meet Me (Deluxe Edition)' | Rolling Stone Italia
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Riascoltate ‘Pleased to Meet Me’, è l’ultimo momento di gloria dei Replacements


Il box set dedicato all'album del 1987 è pieno di grande musica dimenticata. Senza la produzione eccessiva, le canzoni sono più oneste, la voce più sofferta, gli arrangiamenti più interessanti


I Replacements

Foto: by Michael Ochs Archives/Getty Images

Pleased to Meet Me aveva il suono di una band che per una volta faceva sul serio. I precedenti cinque dischi dei Replacements erano capolavori svaccati pieni di canzoni sull’odio per la musica con troppe note, cover ironiche dei Kiss, ogni tanto una ballata strappalacrime. I loro concerti erano la versione alcolica di una serata folk. Tutta questa trascuratezza li aveva trasformati in leggende. Ma poco dopo aver registrato Tim, Paul Westerberg aveva deciso che era il momento di crescere, il chitarrista e fondatore Bob Stinson era andato via, i Replacements erano diventati più consapevoli.

Registrando Pleased to Meet Me, un disco iper-prodotto inciso in trio con l’aiuto di un cast di ospiti infinito, hanno perso parte del loro fascino, ma sono riusciti a sfornare due classici assoluti: la serrata Alex Chilton, in cui si può sentire letteralmente Westerberg rifiatare, e la dolce lettera d’amore Can’t Hardly Wait. Nel disco c’erano anche una manciata di quasi-classici (Skyway, I.O.U.) e altri pezzi strani e ironici (il finto jazz Nightclub Jitters e I Don’t Know, versione musicale di un possibile diario della band). Nonostante una produzione super anni ’80 piena di riverbero (che suona comunque meglio del successivo Don’t Tell a Soul), l’album rappresenta l’ultimo momento di gloria del gruppo.

Il nuovo box set dedicato al disco dimostra che Pleased to Meet Me poteva essere ancora meglio. I Replacements avevano registrato tanta musica in quel periodo: la maggior parte è uscita in compilation o come demo, in versioni alternative e singoli. Altre canzoni, invece, hanno fatto la fine di avanzi dimenticati nel frigorifero, dietro alla birra.

Il materiale più interessante della raccolta sta nei Blackberry Way Demos, con alcuni pezzi già pubblicati nella vecchia edizione deluxe del disco. Otto di questi sono le ultime registrazioni di Stinson con la band: le frustate in I.O.U., lo shredding rockabilly in Time Is Killing Us, gli accenti di gran gusto di Valentine mostrano che cosa sarebbe potuto diventare il disco. Sono registrazioni grezze, intime. I demo incisi come trio mostrano il loro lato giocoso. Le due versioni di Kick It In, l’inno anti-tv di Westerberg, sono arrangiate in due modi diversi, il primo semplice ed essenziale, il secondo con percussioni e chitarre più stratificate. Il country-rock Even If It’s Cheap è una bella aggiunta, anche solo per sentire Tommy Stinson che canta: “Pleased to meet me, the pleasure’s all mine, I’ve seen you here before”. Lo stile ammiccante con cui intona la strofa e il bridge che ricorda un po’ Jesse’s Girl potrebbero spiegare come mai questo pezzo non è andato molto lontano.

Anche i mix grezzi, che di solito sono la parte più trascurabile dei cofanetti di questo tipo, offrono un punto di vista nuovo sul materiale. Un organo gospel era al centro del mix originale di Valentine. Sembra anche che qualcuno abbia suonato il mandolino in Alex Chilton. E nell’originale Can’t Hardly Wait gli archi entrano mentre Westerberg canta il titolo del pezzo.

Dei tre brani inediti, Learn How to Fail è il migliore, con le sue chitarre jazz e Westerberg che cerca di convincere una giovane a crescere un po’ prima di iniziare a uscire con i ragazzi, seguito da Trouble on the Way, un pezzo hard rock di Tommy Stinson. Run for the Country, dove si ascolta un’armonica, sembra un po’ sdolcinata e la cover inedita di I Can Help di Billy Swan impallidisce di fronte alla versione ubriaca registrata con Tom Waits (è nel box set di Don’t Tell a Soul uscito lo scorso anno).

Giudicato nel complesso – e cioè insieme alle eccellenti note di copertina del biografo del gruppo Bob Mehr (che tra le altre cose gettano un po’ di luce sulla separazione da Bob Stinson) – l’edizione deluxe di Pleased to Meet Me ci fa scoprire una band diversa e meno irregimentata. La sofferenza che la voce di Westerberg trasmette sembra più profonda e le jam – sia in trio che come quartetto – sono più naturali. Finalmente possiamo capire che cosa volevano fare e se ci sono riusciti.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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