Nel 1968 Mina, una delle presentatrici di Canzonissima, decide di cantare un medley di canzoni bossa nova in diretta televisiva, facendo innamorare una generazione di italiani a un genere lontanissimo e quasi sconosciuto, ma che si legava sorprendentemente bene con la tradizione musicale italiana.
Quasi cinquant’anni dopo, possiamo dire di aver fatto il giro. I Selton sono in Italia da parecchio tempo, hanno sfornato dischi che odorano di saudade (o che si intitolano proprio così), tessendo e ritessendo il filo che unisce il loro Brasile alla – ormai loro – Milano. Già, perché in questi anni sono diventati più milanesi dei milanesi.
Anche se non parlano più del loro paradiso a Loreto, continuano a inzuppare i loro pezzi di citazioni, dalla mitica – e decisamente tropicale – linea 90 scritta nel “manifesto” dell’album fino allo sfottò sottile nei confronti delle vacanze degli italiani medi (“Perché non vai in Grecia / O a Formentera quest’estate”), o la disperazione del lunedì, tra Pc e hangover di cachaça. Il loro primo singolo Cuoricinici è stato trasmesso dalle radio, nonostante un bel “Vaffanculo” ad aprire il ritornello alle trombe che sono fondamentalmente il chorus della traccia. Nel loro Paradiso tropicale, di tropicale c’è tanto ma c’è spazio anche per altro. Jael è un canto polilingue, come tutto il disco del resto, disperato, che piange una perdita familiare profonda.
Ma è la parte in cui, appunto, riuniscono in pochi istanti Italia e Brasile quella più affascinante. Stella rossa non ha niente da invidiare a un pezzo di Fabio Concato, Tupi or not tupi ruba la base alle sigle tv degli anni ’80, ponendosi una domanda esistenziale chiave, “non so se sono índio o sono indie” e citando Kendrick Lamar. E Luna in riviera vorrei che fosse già inserita tra i classici della canzone italiana, in un grande cofanetto. Sognando, in segreto, una versione speciale con un duetto sussurrato con Ornella Vanoni.