Volendo trovare delle fonti di ispirazione, questo nuovo capitolo di Tomb Raider, il dodicesimo se si guarda la saga principale, non si rifà solo (e ovviamente) a Rise of the Tomb Raider, di cui è sequel ufficiale. I designer di Eidos Montreal, che hanno lavorato a quattro mani con quelli storici di Crystal Dynamics, infatti, sembrano aver attinto, piuttosto, da Deux Ex: Mankind Divided, non a caso prodotto proprio dagli sviluppatori canadesi.
Perché? Perché Lara Croft è oscura come non mai, matura, terribilmente forte e, soprattutto, riflessiva. Sono pochi i combattimenti che non si possono proprio evitare e anche laddove occorre usare la violenza c’è sempre un modo “artistico” per farlo. Qui sta il fascino di questo capitolo: laddove i ritmi degli scontri diventano compassati, ecco che il resto acquista velocità. Benché siamo di fronte al mondo di gioco più vasto della serie, non si ha mai la sensazione di muoversi a casaccio nei vari ambienti.
Anche quando ci si vorrebbe fermare a contemplare una grafica suadente e ricchissima di dettagli, scatta sempre il meccanismo che ti porta a correre, interagire, saltare… e nuotare. Il moto in acqua raggiunge livelli di epicità mai sfiorati prima, complice anche il rinnovato sistema di controllo, e contribuisce a variare la proposta di enigmi, di cui Shadow of the Tomb Raider è ben farcito. Del resto, la trama parla di una Lara Croft impegnata nel territorio Centro-Sudamericano, alle prese con un’antica minaccia Maya e l’organizzazione paramilitare Trinity, decisa a fermare la nostra archeologa.
Quanto basta per garantire un gameplay scorrevole che sancisce la fine di un’avventura iniziata col reboot del 2013. E ci è piaciuto così tanto che a sentire parlare di “fine” della serie ci viene già la malinconoia.