Più di trent’anni di carriera nel cinema, la firma su colonne sonore come Cinderella Man, L’uomo che sussurrava ai cavalli o American Beauty: insomma, glielo vogliamo dare questo benedetto Oscar a Thomas Newman? Sì, ma non per le musiche di Spectre.
Complice una pessima sigla iniziale cantata da Sam Smith (il compositore californiano, già figlio d’arte di Alfred Newman, qui non c’entra nulla), l’impressione generale è quella di un lavoro freddo, eccessivamente impostato nello schema scena/musica. Esempio: ok, c’è da musicare la scena in Italia. Quella in cui Bond conosce l’intrigante Lucia Sciarra (Monica Bellucci) e la consola come solo lui sa fare dopo la morte del marito. Newman con poca inventiva ci ha piazzato sopra due archi Padrineggianti e tanti saluti al pathos.
Qualcuno, magari lo stesso Sam Mendes, deve aver intimato al compositore di tornare alle classiche robe alla Bond. Quello che si aspetta la gente. Il problema, e questo morbo ha intaccato con le stesse modalità anche la regia, è che le cose alla Bond rischiano di uccidere tutto l’entusiasmo che la gente nutre verso la saga. Basta con i cliché, è tempo di svecchiare James Bond e forse nel 2015 sarebbe il caso di mettere da parte banali pattern di timpani e sezioni minacciose di fiati. Chessò, dato che l’intero film si gioca sulla minaccia di un sistema informatico à la 1984, provate con le macchine. Forse è l’unico modo per prendersi un Oscar prima che subentrino le tristissime onoreficenze alla carriera.