Annie Clark (ovvero St. Vincent) non è soltanto una grande autrice di canzoni.
È anche bravissima a scomporle, frantumando la ritmica, la melodia e le emozioni essenziali del pop per poi riorganizzare ogni impulso. Non ci stupisce che nel suo quarto album ci sia una seducente jam in cui lei e un ragazzo frantumano e sniffano un pezzo del Muro di Berlino (Prince Johnny): è la sua specialità, trovare nuovi usi per vecchie strutture.
St. Vincent (l’album) è il suo miglior insieme di canzoni finora. Pezzi tesi, con beat tortuosi e pungenti che spingono le sue melodie (materia che si accende alla prima provocazione) verso diverse rivelazioni.
Nella primaverile Rattlesnake, una camminata senza vestiti si fa pericolosa; la poetica e personale Huey Newton, che deve il suo nome a una Black Panther assassinata, inizia timidamente ed esplode in uno sludge rock mordace; in Psychopath, la sua parte Kate Bush e il suo lato David Byrne (con cui ha collaborato nel 2012) si incontrano in un inno zampettante.
L’uso di due batteristi – Homer Steinweiss del gruppo funky di Brooklyn Dap-Kings e McKenzie Smith dei Midlake – dà alla musica una spinta propulsiva che funziona perfettamente con il suono della chitarra di St. Vincent.
Quest’album è minacciato da solitudine, brame cupe, rimorsi e persino dalla morte. Ma queste canzoni si contorcono in un modo così giocoso che il disco, alla fine, sembra una festa.
Ascolta la playlist delle canzoni scelte da St. Vincent per Rolling Stone.