Benvenuti a Suburbicon, il quartiere-tipo del sogno americano dove i giardini sono perfetti ma dentro alle case sembra di essere in Fargo, dove una tranquilla famiglia di colore è malvista mentre un uomo bianco è rispettabile pure se fa una strage. Benvenuti nell’America dei fratelli Coen che porta la firma di George Clooney, che all’inizio pare una pellicola di Howard Hawks e alla fine vedi i mostri in quello che dovrebbe essere il luogo più rassicurante, soprattutto per un bambino. Negli USA dei muri contro le minoranze (oggi come allora) Suburbicon mette in scena l’iconica famiglia d’oltreoceano ma basta graffiare la superficie per vedere il brutto. Pardon, l’orrore.
Mentre tutta la comunità dell’isolato inveisce contro l’arrivo dei nuovi vicini neri, il bianchissimo Gardner Lodge (Matt “faccia d’angelo” Damon si confronta – bene – con il primo vero bad guy della sua carriera) ingaggia due delinquenti improbabili per far uccidere la moglie invalida (Julianne Moore). Obiettivo: intascare i soldi dell’assicurazione e costruirsi una nuova vita con la gemella di lei (sempre Julianne Moore, inquietante nella versione biondo platino della casalinga anni ’50 ).
Un perfetto intrigo in stile Coen, che scrissero questa sceneggiatura negli ’80, riletto però in chiave politica da Clooney insieme a Grant Heslov: il (gustoso) film di genere scorre parallelo a quello di denuncia con i soliti, inconfondibili tocchi pulp dei fratelli. Il loro cinema c’è tutto: grottesco, sadico, pieno di coincidenze e svolte comiche. Il cinismo e il tono di sberleffo però sono mediati dallo sguardo preoccupato ma ottimista di Clooney, che continua a credere nell’uomo e affida ai bambini e alle musiche di Alexander Desplat la sua fiducia nel futuro.