La giostra del post-punk è girata, spesso così: trascorri la gioventù gozzovigliando all’intersezione tra comunità artistica e turpi bassifondi, utilizzi – per svago o per lavoro – i servizi degli spacciatori dei bassifondi di cui prima, lavori a un esordio tanto viscerale, quanto concettualmente radicale. Saturo di allusioni coltissime alla letteratura e prestiti dall’arte visiva. Non c’è limite – ti sembra – a quanto si possa essere blasé e sfidanti, ma al tempo stesso, innocenti e puri come fiori di campo: sei Iggy, sei i costruttivisti russi. I critici ti ameranno.
Poi cresci e, se non passi alla generazione successiva la palla velenosa del romanticismo rock and roll, ti serve un centro di gravità per l’inquietudine che hai finora coltivato orgogliosamente: la redenzione ha la forma di una Bibbia e di un completo chiaro e – sai cosa? –il rock classico forse non è il vecchio asino da prendere a calci, come dicevamo. Sei Bob Dylan, sei il sopravvissuto. I critici (forse) ti ameranno. Michael Gira ha preso una strada diversa: aplomb del gentiluomo e voce garbata ci sono, ma ha visto la luce nella musica stessa. Proprio come fenomeno fisico: scultoreo, raccontano i volumi titanici dei live. Si è riappropriato di drone e neo-folk che aveva contribuito a diffondere nella musica popolare e produce quello che potremmo definire minimalismo sacro rock. Forse un canto gregoriano per un mondo alternativo a quello in cui c’è il cristianesimo: oceanico, ottuso, oliato come una macchina da guerra. All’uscita da questa cattedrale nera vi sentirete giusto un filo più vuoti e la forza di gravità vi peserà un po’ di più addosso.
Swans – The Glowing Man
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