Noti per i loro ipnotici live, forti di una nuova label ed un nuovo batterista, i Temples, che hanno già annunciato un tour europeo e che a breve annunceranno anche le date americane, definiscono Hot Motion come un disco versatile, più cupo e più pesante, pieno di luci e ombre. La gestazione dell’album è avvenuta a stretto contatto, per la precisione nella casa di James Bagshaw: “potevamo andare dalla stanza da letto o dal salotto a uno spazio dedicato, questo ci ha permesso di lavorare di più come band e questo ha giocato una grande parte nel sound del disco”.
Il manierismo nel rock n’ roll non è affatto un difetto, ma quello proposto dal trio di Kettering in questo nuovo album purtroppo ha ben poco del fascino di Sun Structures, il bel debutto del 2014. Hot Motion, in linea con i due album precedenti, continua il flirt con la psichedelia degli anni 60/70, ma vira su songwriting più pop, più curato e mostra un’attenzione ancora maggiore agli arrangiamenti. Le premesse sarebbero dunque eccellenti, se non fosse che la band di cui stiamo parlando ha sempre un po’ dato l’idea di avere del vuoto dietro alla impeccabile superficie, e ascolto dopo ascolto quello che manca in questo album sembra proprio essere una personalità.
Certamente sarebbe troppo ingiusto bollare i Temples come pallidi epigoni dei Tame Impala – per altro anche loro in netto calo di ispirazione – ma è difficile promuovere un album che dà sempre la sensazione di voler solo ricreare un’atmosfera più che di esprimere davvero qualcosa. Gli undici pezzi dell’album, aperti dalla discreta titletrack, un tentativo a un approccio un po’ più cinematico, sono un fritto misto di cliché splendidamente performati: i punti più alti vengono raggiunti dalla nostalgica You’re Either On Something e dalla beatlesiana Atomise. Un altro aspetto positivo è che senz’altro Hot Motion è un Lp classicamente inteso, da ascoltare dall’inizio alla fine, anche se si potrebbe malignare dicendo che anche questo è un luogo comune del genere.
Insomma, tutto è giusto ma tutto è sbagliato e non basta qualche arrangiamento leggermente più spericolato per spezzare la monotonia che non è direttamente causata dalla effettiva ripetitività dei pezzi, quanto dal fatto che ciò che si sente in Hot Motion è stato ampiamente utilizzato e riutilizzato nel vocabolario del genere. Un po’ poco per la band che anni fa Noel Gallagher definì: “la migliore nuova band in Gran Bretagna”. I rockettari più nostalgici potrebbero in effetti prendere una cotta per questo prodotto di buon artigianato, ma sarà davvero difficile che se ne innamorino.