Se vi aspettate qualcos’altro che non sia oscurità dalla seconda stagione di The Handmaid’s Tale, forse avete dovuto distogliere lo sguardo una volta di troppo durante la prima: la distopia sessista del romanzo di Margaret Atwood è ancora più dark, talmente inimmaginabile e allo stesso tempo credibile da farvi sentire scomodissimi sul divano di casa, anche senza la trama della scrittrice a guidarla.
Non sembrava necessariamente che chiedesse, o addirittura permettesse, un secondo capitolo, ma è quasi come se quello che stiamo vivendo reclamasse di più. Più di questa storia, di June e del suo mondo, dove le pochissime donne fertili rimaste sono diventate uteri che camminano per i comandanti del regime e le loro mogli sterili. Il finale di stagione rispecchiava la conclusione del libro, lasciando Difred incinta nel retro di un furgone nero. Non avevamo idea di dove fosse diretta, e nemmeno lei: “Non so se sarà una fine o un inizio. E quindi salgo, nell’oscurità o nella luce”.
Quello che vedrete subito dopo non sarà semplice da digerire, con This Woman’s Work di Kate Bush a rendere tutto devastante. Ma The Handmaid’s Tale non ha mai scelto la strada più facile, o meno sconvolgente. I dialoghi e la voce fuori campo qui preferiscono benedire silenzi: perché spiegare, quando ti puoi aggrappare al volto di Elisabeth Moss che, sempre più June e sempre meno Difred, trova eleganza, sfumature e doloroso sarcasmo nella rabbia e nella ribellione? Lo stesso vale per la Emily di Alexis Bledel, protagonista dell’allargamento narrativo alle Colonie. Se Gilead è di nuovo strepitosamente fotografata, le terre desolate e radioattive, in cui la dittatura esilia chi la minaccia, sperimentano grandi cieli e un’inedita tavolozza di colori, bruciata come la pelle delle donne mandate lì a soffrire e morire.
Il giorno dopo l’elezione di Trump le vendite del libro della Atwood erano raddoppiate, ma ormai ci siamo abituati persino a The Donald. E siamo venuti faticosamente a patti con la visione disturbante di Gilead. The Handmaid’s Tale deve continuare, perché ci sbatte in faccia i pericoli dell’estremismo, nel caso non avessimo ancora imparato niente dalla Storia, quella vera.