È una domenica pomeriggio, sei in hangover dalla sera precedente, e nessun brunch o Bloody Mary che dir si voglia può curare le condizioni in cui versi. Tutto quello che puoi fare è metterti sul divano sotto una coperta a guardare qualsiasi vecchio film ti capiti in tv o su una qualsivoglia piattaforma. Uno di quei blockbuster di una volta, o una stupida commedia, o una farsa romantica: il cinema che vale come comfort-food, per capirci. Qualcosa che riesca a tenerti attivo mentre aspetti che il Brufen faccia effetto.
Schiacci un tasto sul telecomando e… boom! C’è Sandra Bullock ancora nei panni della tostissima fidanzatina d’America che l’ha definita per anni: in questo caso specifico, ha il ruolo di una scrittrice di romanzi rosa rimasta vedova e sfinita dalla routine quotidiana. Al suo fianco, fedele come un labrador provvisto però di addominali granitici, c’è Channing Tatum, alias un famoso modello che ha prestato il volto e i muscoli alle copertine dei libri dell’autrice, a volte mettendosi persino la camicia. L’ultimo capitolo della sua saga su due amanti giramondo non sta vendendo come i precedenti, nonostante non manchino le solite scene di sesso. Ma i dettagli su un’antica civiltà sepolta tra le foreste del Sudamerica attirano l’attenzione del miliardario cattivo ma buontempone interpretato da Daniel Radcliffe. Lui crede che la scrittrice sappia dove si trova la tomba di Calaman, e che possa aiutarlo a trovare il leggendario tesoro noto come la Corona di Fuoco.
Finirà dunque per rapirla. Ed ecco allora questa riluttante Indiana Jones in tuta di paillettes fucsia catapultata nel pieno di quegli scavi archeologici e circondata da sgherri e criminali al servizio del riccone di turno. Il fusto fessacchiotto interpretato da Tatum è deciso a liberarla. Fughe difficoltose, comiche scene di inseguimento tra automobiline di taglia piccolissima, sanguisughe rimosse dal didietro. Questo film non è così male, ti ritrovi a pensare mentre ti sistemi la borsa del ghiaccio sulla fronte.
Ed è esattamente la modalità in cui The Lost City è pensato per essere fruito, in qualche momento del prossimo futuro in cui qualcuno si troverà a combattere i postumi della notte brava precedente. Sarà ammesso anche vederlo sull’aereo, a diecimila metri d’altezza, quando hai un viaggio di parecchie ore davanti e nient’altro di disponibile tra i titoli proposti dalla compagnia del tuo volo. Il fatto è che questa nuova versione della solita minestra riscaldata arriva nelle sale, quando sembra invece confezionata appositamente per essere guardata in uno stato di totale distrazione e/o di impossibilità di resistenza. Bullock e Tatum possono pure essere alla ricerca di un tesoro perduto, ma è il film stesso a cercare di riesumare un genere che si credeva perduto: la rom-com sospesa tra action e avventura ad altissimo budget e con protagoniste delle superstar dello schermo. The Lost City ha l’ambizione così sfacciata di diventare un nuovo All’inseguimento della pietra verde che quasi vedi le goccioline di sudore trasudare dallo schermo.
La cosa più divertente di questo tentativo di resurrezione è la sua completa adesione a una formula collaudatissima: dalle location esotiche agli scagnozzi “etnici”, al solito nutritissimo gruppo di spalle comiche. Il film è abbastanza furbo da ingaggiare nomi come Da’Vine Joy Randolph, Patti Harrison, Bowen Yang e l’Oscar Nunez di The Office, e insieme abbastanza pigro da far dire loro battute come “Hashtag Shawn Mendes!” o assegnargli ai loro personaggi accenti ridicoli: tanto che ridere è quasi un miracolo. Non costituisce spoiler rivelare la presenza di Brad Pitt e dei suoi boccoli biondi, visto che è stato uno degli elementi chiave nella promozione del film. Né è una sorpresa affermare che il suo cameo “allargato” nei panni di un ex marine è il punto più alto del film, nonché l’ingrediente che, tra un combattimento e l’altro, apre alla possibilità di un triangolo sentimentale con i due protagonisti. E anche se qui le scene d’azione sono montate in modo molto sciatto, ci dimostrano che è giustissimo che Pitt collabori con un regista come David Leitch e ci regali la sua versione di mezza età di un eroe alla Atomica bionda. (Vedremo mai un Brad Wick? Speriamo proprio di sì: intanto arriverà Bullet Train, con protagonista il divo e diretto proprio da Leitch.)
Quanto a Bullock e Tatum, fanno del loro meglio per riproporre quello che avevano già fatto benissimo in passato: semplicemente, però, non sembrano mai giocare davvero in tandem. Forse siamo troppo sentimentali (o solo troppo vecchi), ma è bellissimo vedere la nostra adorata Miss Detective prendersi una pausa dagli action in cui, bendata, lotta contro alieni post-apocalittici (leggi: Bird Box) o da drammoni decisamente modesti (il più recente The Unforgivable), e tornare a quella tipologia di film che l’hanno aiutata a definire e affinare la sua carriera molti anni fa. Ha quell’espressione in stile “Cosa diavolo hai detto?” che solo lei sa rendere di Serie A, e qui ne fa un ottimo uso. Tatum, invece, è uno di quegli attori che sanno come interpretare l’idiota nel più intelligente dei modi: ci vuole un commediante di razza come lui per dare volto a un personaggio a cui bisogna spiegare che è impossibile che le donne facciano mansplaining (e che, una volta che l’ha saputo, con afflato femminista esclama “Io invece penso che le donne possano fare tutto quello che fa un uomo!”: favoloso). La coppia che compongono, però, non è all’altezza delle singole performance.
Realizzare questo tipo di intrattenimento è un’arte, e con una diversa coppia sullo schermo e dietro la macchina da presa – i registi sono i fratelli Aaron e Adam Nee — forse il risultato sarebbe stato migliore. The Lost City non è un’occasione del tutto persa: resta un modo divertente per trascorrere un pomeriggio senza impegno. Un giorno magari troveremo questo film in tv, piazzato tra Two Weeks Notice e Il gioiello del Nilo, e saremo troppo stanchi per cambiare canale. E allora passeremo con gioia due ore davanti a tutta quella deliziosa mediocrità.